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Co-creazione della ricerca e del sapere nel sistema dell’ecologia integrale

  1. Introduzione

Nella mia prima conferenza ero partito dai poemi di Lucrezio e di Ovidio e dal modello di un sistema d’infinite relazioni di tutto con tutto […]” (I. Calvino, Lezioni Americane, 1988)

Le riflessioni giuridiche, filosofiche e spirituali sull’etica ambientale convergono nel ritenere che la crisi ecologica del nostro tempo riflette la disfunzione del rapporto natura-società [1, 2, 3, 4, 5, 6]. Nel tentativo di dare una risposta scientifica a tale disfunzione relazionale, che riteniamo essere una delle cause della crisi ecologica del nostro tempo, il presente contributo esplora gli impatti positivi che il pensiero critico applicato alla ricerca azione partecipativa (RAP) produce nello studio interdisciplinare delle tematiche ambientali. Lo studio interdisciplinare della crisi ecologica applica una lente che accomuna riflessioni giuridiche, modelli di ricerca e sapere indigeni, e la narrativa degli ecofemminismi, unite nel comune obiettivo di “cambiare il sistema, non il clima” [7]. Il sistema può essere cambiato, a nostro avviso, proprio partendo dalla produzione, ricerca e insegnamento del sapere, e quindi, nella nostra prospettiva, dal mondo accademico. La combinazione dell’analisi critica e dell’approccio RAP [8, 9] consentono di valorizzare l’espressione di saperi co-creati e di riflettere sull’importanza di soluzioni che rinforzano il tessuto relazionale nella ricerca ecologica. Il processo partecipativo si struttura attraverso laboratori che coinvolgono comunità di ricercatrici, studentesse, ricercatori e studenti, e si basa sui principi di trasparenza, rispetto, reciprocità e responsabilità. In questo modo, i valori fondanti nella ricerca partecipata consentono di tradurre in concreto i principi cardine del diritto ambientale: tra i tanti, osserviamo una corrispondenza tra i principi di trasparenza (delle decisioni ambientali), tutela (dell’ambiente), responsabilità (nella causazione dei danni ambientali) e i valori di trasparenza, cura e responsabilità che informano i laboratori partecipati. La trasparenza – noto principio cardine del diritto amministrativo e ambientale [11, 12] – nei termini della ricerca partecipata si traduce nell’aprirsi agli altri, condividendo punti di vista e osservazioni, esprimendo e dando forma a riflessioni condivise in un contesto non giudicante e rispettoso delle opinioni altrui. Anche la cura e l’attenzione agli altri sono valori fondamentali nei nostri laboratori, laddove permette di stabilire una relazione di fiducia reciproca, e anche di consolidare un’abilità collettiva nel dare risposte (di qui: respons-abilità) ai dilemmi posti dalla crisi ecologica. Una tale corrispondenza tra costruzione teorico-giuridica e traduzione in termini metodologici dei pilastri del diritto ambientale consente di studiare il diritto ambientale anche nella sua dimensione relazionale e partecipata.

I laboratori di sperimentazione si sviluppano nel contesto dell’ecologia integrale (EI), intesa come un

invito a una visione integrale della vita, a partire dalla convinzione che tutto nel mondo è connesso e che […] siamo interdipendenti gli uni dagli altri, e anche dipendenti dalla nostra madre terra. Da tale visione deriva l’esigenza di cercare altri modi di intendere il progresso e di misurarlo, senza limitarci alle sole dimensioni economica, tecnologica, finanziaria e al prodotto lordo, ma dando un rilievo centrale alle dimensioni etico-sociali ed educative, e la loro intrinseca relazionalità (Papa Francesco 2015 [1]).

La prospettiva dell’EI si applica anche nel mondo della ricerca e delle metodologie scientifiche, rilette in chiave di processi partecipativi volti alla co-creazione di soluzioni alle sfide socio-ecologiche attuali. In questo sistema, la dicotomia soggetto-oggetto della ricerca viene rivisitata criticamente e superata [10], e in generale le dinamiche relazionali che si instaurano nella comunità scientifica vengono ripensate, rilette e reinterpretate alla luce dei valori dell’empatia, della compassione e della cura.

  1. Metodologia

2.1 Dagli studi di metodologia indigena alla creazione di materiale didattico formativo (Learning Toolkit, LT)

2.1.1 La metodologia indigena

Il nostro approccio si incardina su un metodo scientifico che integra profili teorici e pratici e che ha le sue radici nel lavoro condotto dall’Indigenous Law Research Unit (ILRU) della University of Victoria, Vancouver Island, British Columbia, Canada [13].

La ricerca verso la co-creazione di saperi in una propettiva di EI si sviluppa attraverso la sperimentazione di tecniche acquisite grazie agli insegnamenti di diritto e metodologia indigena del Canada occidentale, sotto la guida di Val Napoleon e Rebecca Johnson (rispettivamente, direttrice e direttrice associata di ILRU). ILRU ha sviluppato un approccio scientifico alla ricerca che mira a ricostruire l’epistemologia dei sistemi di diritto indigeni in un’ottica di riconciliazione e cura, attraverso un metodo partecipato che coinvolge ricercatori e comunità indigene. In tale metodologia, l’elemento centrale di studio, ossia la risposta alla domanda di ricerca, ha sempre un risvolto giuridico, e viene co-creato attraverso la relazione che si instaura tra le parti (comunità ricercatrice e comunità indigena). Il metodo indigeno ha quindi come punto di partenza una domanda di ricerca, la cui risposta va cercata nel corpus di risorse della comunità indigena, che comprende le storie, i sogni, i racconti degli anziani, i canti ed altre forme di espressione artistica. La validità della risposta co-creata viene testata collettivamente, per poi essere inquadrata teoricamente, sistematizzata e applicata ad una vasta casistica, che comprende la ricerca di soluzioni di governance ambientale, uguaglianza di genere, autodeterminazione e riconciliazione.

2.1.2 Il ri-posizionamento

 La ricchezza, rilevanza e scientificità delle risposte ottenute attraverso la metodologia indigena consente di guardare a questo sistema come a un modello per una ricerca co-creata in ambiti che non necessariamente si qualificano come indigeni. Si tratta di una operazione estremamente delicata, nota come (ri)posizionamento (in inglese re-positioning), che richiede l’applicazione di una tecnica, nuova per i giuristi occidentali convenzionali, ma nota alle scienze antropologiche e sociali [14, 15]. Il riposizionamento offre l’opportunità di mettere in discussione le fondamenta della ricerca, di valutare la legittimità delle sue domande, acquisendo consapevolezza della parzialità del punto di vista di chi intraprende un percorso di ricerca. Dalla relazione con il sistema indigeno e nativo, lo spazio di azione e il ruolo dell’osservatore e ricercatore esterno vengono così problematizzati [14] e ampliati per restituire centralità e valore agli scopi etici della ricerca scientifica. In tale processo, dunque, si sviluppa e consolida un protocollo fondato sulla consapevolezza che la creazione del sapere non è neutra, ma frutto dell’incontro tra il mondo della ricerca e il mondo di coloro che hanno contribuito alla co-creazione di quel sapere. Kim England descrive questo processo come un continuum che sta ‘in between’, nello spazio intermedio che separa e allo stesso tempo unisce ricerca e comunità [15]. Nel nostro approccio, il riposizionamento implica il mettersi in relazione, l’intraprendere un percorso di autoriflessione che invita a prendere distanza dalle proprie certezze, e a riscoprire i valori della gratitudine e della riconoscenza nei confronti di chi ha contribuito a co-creare il sapere [16, 17, 18]. Inoltre, con il riposizionamento intendiamo includere tutti i soggetti coinvolti in ogni fase della ricerca, dalla programmazione delle attività, alla validazione e poi alla restituzione dei risultati della ricerca alla comunità con cui si è lavorato, chiedendo il permesso di continuare a sviluppare le domande di ricerca in diversi contesti [17, 18].

2.1.3 Le tre fasi di co-creazione del sapere

Da qui, il nostro percorso metodologico si articola attraverso una esperienza formativa in continua evoluzione, che ad oggi include la sperimentazione dei seguenti materiali: (1) la copertina del progetto (2019) [19]; (2) il manuale illustrato interattivo (2021) [20]; (3) il libro illustrato silenzioso (2021) [21]. Il trait d’union delle tre fasi progettuali è costituito dall’adozione di una metodologia innovativa nel campo delle scienze giuridiche, nota come legal design.

2.1.4 L’influenza del legal design nelle tre fasi progettuali

La prima fase di co-creazione di materiali di ricerca si sviluppa intorno allo studio del potere comunicativo ed evocativo delle immagini anche nella comunicazione giuridica. L’uso delle illustrazioni è una tecnica relativamente nuova nell’ambito della ricerca legale. È grazie alla ricerca condotta dal Legal Design Lab della Standford University, coordinato da Margaret Hagan, in collaborazione con la facoltà di diritto e quella di design, che il linguaggio illustrato e la ricerca giuridica si stanno progressivamente affermando anche come disciplina di studio e oggetto di ricerca [22]. Margaret Hagan, in particolare, ha studiato le fasi del design thinking, osservando come le illustrazioni possono integrare il processo di creazione di soluzioni giuridiche centrate sui bisogni umani. La ricercatrice usa l’espressione ‘human-centered design approach’ (approccio di design fondato sulle esigenze umane) per definire un approccio metodologico che mira a generare nuove forme di intervento e soluzione a problemi complessi [23]. Utilizzando la tecnica della messa a fuoco delle vicende umane, le necessità delle parti vengono individuate e rappresentate graficamente. Questo approccio, ad avviso di Margaret Hagan, si coniuga perfettamente con la RAP:

A final related field is Legal Participatory Action Research. Like a human-centered design approach, this form of action research also involves close work with the stakeholders in a given challenge area, and it encourages researchers to use interactions and creative work to produce new insights. Legal design borrows from the social science Participatory Action Research approach. It involves researchers working alongside the people whom they are studying, or in the context that they want to understand [23].

Un altro cluster di eccellenza nello studio del legal design, che integra gli aspetti dell’assistenza legale visiva e la ricerca giuridica illustrata su temi ambientali si sta consolidando in Brasile, presso l’Universidade Federal do Estado do Rio de Janeiro, grazie al team di ricerca coordinato da Giulia Parola, e che vede la collaborazione di uno studio legale, di giovani ricercatori appartenenti al popolo indigeno Chiquitano del Mato Grosso (in Brasile), e di un gruppo di consulenti di legal design [24].

2.1.5 Fase 1: La copertina del progetto

In linea con l’idea di sviluppare una RAP con l’aiuto di storie illustrate, la nostra prima fase metodologica è consistita nell´ideazione concettuale del LT, con la presentazione della copertina del progetto: “An Illustrated Storybook on Indigenous Stories”, (Un libro illustrato di storie indigene, Fig. 1 [19]). L’obiettivo originario del progetto era quello di raccogliere storie indigene di terra e di acqua, con particolare attenzione alle storie della regione artica. La copertina è illustrata da Valentina Russo e raffigura l’interazione di due spiriti femminili che danno voce a storie indigene. Gli spiriti delle storie rappresentano le due forze uguali e contrarie della fluidità e dell´immanenza che governano acqua e terra. L’illustrazione esorta a superare barriere culturali e linguistiche, ispirando le comunità di studio e ricerca a ripensare alle forme di comunicazione di sapere e a ri-posizionarsi continuamente nel processo formativo. I due spiriti dell’acqua e della terra intendono accompagnare il progetto complessivo come se fosse un racconto illustrato di storie, una collezione di narrazioni, idee e osservazioni sul rapporto simbiotico che unisce e governa le comunità umane e naturali. La copertina che rappresenta l’idea è stata presentata nel 2019 al workshop internazionale Kjønns-forskning NÅ!, e discussa in collaborazione con il Gender Research Group, UiT The Arctic University of Norway [19]. L’idea di costruire ponti tra diverse culture giuridiche con l’aiuto di illustrazioni è stata accolta con entusiasmo dalla comunità scientifica e l’illustrazione è diventata il prodotto scientifico finale della ricerca. Da qui, l’ispirazione a continuare a sviluppare spazi creativi in cui ri-posizionare riflessioni giuridiche legate all’EI.

 

Fig. 1. La copertina del progetto. An illustrated storybook on indigenous stories. Illustrazione di Valentina Russo, Mucho Amor, 2019, pubblicata in: https://doi.org/10.7557/5.5040

2.1.6 Fase 2: Il manuale

La seconda fase metodologica è consistita nella creazione di un manuale illustrato [20] (Step 2, Fig. 2), ispirato ad una storia indigena artica [25].

 Il manuale sviluppa una serie di riflessioni e lezioni intorno alla storia, sul luogo in cui si trova e custodisce il sapere. Si tratta di una domanda rivolta alla collettività degli animali: la risposta viene costruita attraverso la relazione che i personaggi intessono con l’oggetto della ricerca e, in ultima istanza, anche gli uni con gli altri, permettendo alla ricerca di svilupparsi nella sua dimensione esperienziale e collettiva. La ricerca del sapere parte da una domanda (la domanda di ricerca), formulata dal Creatore a Nanaboozhoo, lo spirito cangiante e creativo, che unisce mondo terreno ed ultraterreno [26, 27]. Da Nanaboozhoo essa viene poi rivolta agli animali della Terra, rappresentati simbolicamente dagli animali artici: l’orso, l’aquila, il salmone e la talpa. La ricerca quindi si trasforma in un processo di riflessione interattivo, situato e al tempo stesso delocalizzato. Ogni animale è coinvolto nella ricerca, e si cimenta nell’impresa con proprie doti e sistema di sapere: l’orso si inerpica sulle rupi scoscese, senza successo apparente; l’aquila si avventura negli spazi aerei, fino alla luna, senza successo apparente; il salmone si inabissa nelle tenebre degli oceani, senza successo apparente. Infine (che può essere percepita come la fine o il fine), la talpa, l’ultima a provarci. La sua cecità è compensata dalla dote profetica di saper guardare al di là delle cose terrene [28]. E pare essere proprio questa condizione a permettere alla talpa di risolvere l’enigma: la conoscenza si trova e custodisce (o viene trovata e custodita, a seconda delle interpretazioni) nel cuore della terra. Un’altra possibile interpretazione della risoluzione dell’enigma è  che in realtà il sapere è  la sintesi collettiva degli sforzi individuali, solo in apparenza vani, di tutti gli animali.

Il libro è pensato sia come manuale per corsi in diritto ambientale, sia come materiale formativo per incontri di ricerca su temi giuridici, di ecologica sistemica, ecofemminismi e studi globali in genere.

Ogni lezione si sviluppa intorno alle caratteristiche e ai ruoli delle parti nella storia e mira a stimolare la riflessione sulle dinamiche della ricerca e della costruzione della conoscenza, come un processo continuo, collettivo e circolare.

Fig. 2. La copertina a colori del manuale, Arianna Porrone, Margherita Paola Poto. Illustratrice: Valentina Russo. A Story About Knowledge A Learning Tool to Engage with Illustrated Storytelling in Law and Global Studies, Roma: Aracne, 2021, ISBN 978-88-255-4110-6

2.1.7 Fase 3: Il libro illustrato e silenzioso

La terza fase del processo co-creativo è costituita dal libro illustrato e silenzioso [21] (Step 3, Fig. 3), ispirato alla stessa storia, con rappresentazioni iconiche degli ambienti nei quali gli animali esercitano il ruolo di ricercatori della conoscenza (la montagna per l’orso, lo spazio per l’aquila, le vastità degli oceani per il salmone, il sottosuolo per la talpa). Tali scenari creano l’ambientazione della storia in cui si muovono protagonisti e lettori. Il libro rappresenta un’opportunità per coinvolgere un’audience più ampia del solo mondo accademico, che includa bambini e bambine di tutte le età. [29]

Fig. 3. Tavola numero 4 parziale, Russo, V. (illustrator). A Story About Knowledge ed. by A. Porrone and M. P. Poto, Aracne, Roma, forthcoming 2021-2022

2.2 La sperimentazione nei corsi accademici e nelle comunità di ricerca

2.2.1 Riflessioni ambientali nelle aule universitarie

A partire dal 2019, il manuale (step 2) è stato integrato nell’offerta formativa di studi accademici di primo e secondo livello dell’Università di Torino (Dipartimento di Management e Giurisprudenza): un corso universitario in lingua inglese (Master di primo livello 2021-2022) in Diritto Amministrativo nel contesto dell’Agenda 2030; un corso in inglese di Diritto Pubblico per l’Economia; un Master di II livello in Food Security and Safety [30] Inoltre, le tavole illustrate e la storia hanno costituito parte del materiale formativo nel seminario sul tema dei saperi situati insieme agli studenti e studentesse del I e II anno del dottorato di ricerca in Global Studies. Justice, Rights, Politics (Università di Macerata, Italia, Dipartimento di Scienze Politiche, Comunicazione e Relazioni Internazionali, anno accademico: 2019-2020 [32]). Infine, la metodologia di insegnamento è adottata in un programma di Master interdisciplinare sulla salute globale, con focus specifico sulla governance artica (McMaster University, Ontario, Canada 2021) [31]. Le esperienze sono poi state anche raccontate attraverso un racconto divulgativo sul canale Frida Forum della Ricerca di Ateneo dell’Università di Torino. [33]

Seminari di ricerca e lezioni universitarie seguono un protocollo consolidato che pone al centro dell’attenzione i principi dell’empatia, della compassione e della cura come valori fondanti nella co-creazione di saperi ecologici [34], e sono progettati per accrescere la consapevolezza individuale e collettiva sulle cause profonde delle ferite ecologiche ed anche sul ruolo che la ricerca partecipativa e l’educazione possono svolgere nel processo di guarigione di tali ferite.

Prima dell’inizio del seminario o della lezione, i partecipanti sono invitati a preparare una riflessione sulle cause del degrado ambientale, e sul ruolo che essi stessi come individui e come membri delle comunità in generale rivestono al riguardo. Quando possibile, il testo della storia viene inviato ai partecipanti prima della sessione, con le istruzioni per una lettura preliminare. In classe, vengono ringraziati l’audience, il territorio che la ospita (soprattutto nei casi in cui si tratti di terre occupate), e lo spazio virtuale che accoglie gli incontri. In alcuni casi, la conversazione si apre con la lettura del testo storia ad alta voce, rispettando pause e silenzi per accompagnare gli ascoltatori e le ascoltatrici nel racconto. La lettura ad alta voce è un esercizio di alfabetizzazione emotiva [35] attraverso le voci narranti che, come aedi [36], facilitano la co-costruzione di una memoria collettiva. Si tratta di un’attività multisensoriale (che include l’uso della voce, dell’udito e della vista) e che permette di costruire ponti con le menti (e l’anima) di chi narra e di chi ascolta. Gli effetti benefici della lettura ad alta voce sono stati confermati anche dalla dottrina: in particolare, Batini osserva come la lettura costituisca una vera e propria apertura al possibile, uno strumento che permette di percorrere strade non ancora tracciate, disegnate, visibili [37]. Inoltre, essa viene descritta come un processo costruttivo, attraverso cui chi ascolta può proiettare nel racconto i propri significati, esplorare se stesso/a e mettersi in discussione. Dunque, la lettura viene intesa anche come pratica di cura di sé, e di apertura verso l’altro (umano e naturale).

Nel casi in cui, per ragioni di tempo, non sia possibile leggere la storia ad alta voce, gli ascoltatori vengono invitati a soffermarsi sugli aspetti principali della storia, in particolare sulle caratteristiche fisiche e psicologiche degli animali, ed anche sulle interazioni tra gli animali ed l’ambiente che li circonda. Nell’ascoltare le reazioni, i commenti e le sensazioni che la storia genera, il pubblico viene invitato a riflettere sulle analogie e differenze fra le interazioni degli animali e le nostre.

L’obiettivo è quello di attivare e riflettere sui processi (consci e inconsci) di trasformazione e sviluppo individuali e collettivi. La narrazione in questo senso trova la propria validazione nel processo di creazione di significati. L’obiettivo di educare narrando è dunque raggiunto nella costruzione di un luogo di ascolto reciproco tra soggetti narranti e ascoltatori, la cui identità si consolida nel gruppo come identità narrativa [38, 39, 40].

Educare all’ascolto è uno degli elementi dello sviluppo del pensiero creativo, a cui si aggiunge l’incoraggiamento ad esplorare tecniche di scrittura libera, creativa (il cosiddetto journaling), ed artistica [41], e in generale a creare uno spazio per la cura di sè, vivendo l’esperienza della riflessione sui problemi ambientali anche come un momento di cura della propria persona e dei propri pensieri [42].

Lo spazio della cura si estende alla condivisione dei propri pensieri con gli altri, ristorando anche la pratica della conversazione in accademia, e permettendo in questo modo a tutti di sentirsi parte di un processo di co-creazione del sapere, sviluppando empatia, compassione e cura per se stessi, per gli altri e anche per gli spazi che ospitano tale processo [43].

Un esempio delle fasi dei nostri laboratori è contenuto nella Tabella 1.

Tabella 1. Esempio di tecniche partecipative applicate all’insegnamento ed alla ricerca

Lettura della storia – A Story About Knowledge
Brainstorming in cui ai partecipanti viene chiesto di pensare al ruolo dei personaggi e immedesimarsi nell’azione dei  protagonisti e protagoniste della storia attraverso le seguenti attività:

–   Riflessioni sul ruolo degli animali nella storia

–   Riflessioni scritte

–   Rappresentazione dei ruoli attraverso mappe concettuali, immagini, tabelle, schemi e disegni

Il momento della condivisione in cui ai partecipanti viene chiesto di condividere:

–   In gruppi, vengono preparate presentazioni e posters che rappresentano l’interpretazione della storia da parte del gruppo;

–   Nel caso di attività online, i gruppi presentano i loro lavori attraverso ppt, Prezi, o filmati, o altre rappresentazioni visive e artistiche

Il momento della valutazione in cui ai partecipanti viene chiesto di:

–   Condividere i loro commenti sull’esperienza, dare suggerimenti per migliorare e esprimere desideri sugli sviluppi

 

2.2.2 Esempi di ricerca co-creata

La lettura della storia con la ricerca collettiva di significati è stata anche sperimentata e adattata alla comunità del gruppo di ricerca Social Dynamics in Marine and Coastal Areas (Università di Kiel, Germania, Dipartimento di Geografia, anno accademico: 2020-2021 [44]), durante un laboratorio su Donna Haraway [45] con l’obiettivo di ripensare e riformulare le attuali sfide ecologiche attraverso l’uso di nuove storie.

Data la non convenzionalità dell’uso delle storie illustrate in contesti accademici, la spiegazione delle regole del gioco diventa un momento fondamentale del laboratorio, al fine di creare uno spazio di lavoro comune. La sessione meditativa si apre con la lettura della storia e con l’assegnazione di un ruolo attivo ai partecipanti. Proprio a loro viene chiesto di riflettere sulla domanda principale della ricerca attraverso la storia, di confrontare la storia con altre risorse parte della loro esperienza personale, di condividere opinioni e sintetizzare risultati in un quadro concettuale comune. I risultati sono poi riesaminati collettivamente, fino alla rilettura della storia che conduce il workshop al termine.

Durante il laboratorio, in uno spazio aperto e non giudicante, emergono riflessioni inerenti all’epistemologia e alla metodologia della ricerca: ad esempio, si discute di questioni che riguardano gli attori coinvolti nella produzione del sapere, del percorso verso il conseguimento di tale sapere, il suo scopo per le comunità scientifiche e non. L’elemento fondamentale per il successo di laboratori come questo consiste nella creazione di un ambiente positivo e rispettoso, cui tutti i partecipanti contribuiscono alla conversazione in eguale misura. Si tratta di una forma di ‘intelligenza collettiva’, secondo la definizione di una delle partecipanti, attraverso cui si aprono scenari imprevedibili e inaspettati e di estrema rilevanza per il diritto e gli studi globali. La creazione di un luogo di cura attraverso lo storytelling contribuisce in tal modo alla costruzione di un ambiente di ricerca basato su un rapporto equilibrato e rispettoso. Il luogo di cura è intessuto di relazioni di rispetto e gratitudine, che hanno effetti benefici sulla comunità di ricerca e contribuiscono a una trasformazione piu’ profonda tra esseri umani e la Terra, casa comune.

  1. Conclusioni

   L’esperienza delle attività di apprendimento e ricerca collaborative ha il merito di creare dei legami e rinforzare relazioni, accomunando i partecipanti nell’opera di co-creazione di significati, stimolando in questo modo una riflessione sulla interconnessione di relazioni, esperienze, persone ed ambienti.

 Le riflessioni collettive sui temi ambientali del nostro tempo stimolano la discussione e aiutano nella formulazione di interrogativi e domande di ricerca che aprono nuovi scenari di crescita della coscienza ambientale. Tali riflessioni, condivise negli spazi di apprendimento e di ricerca, contribuiscono infatti a creare un senso di responsabilità collettiva, a stimolare ulteriori scambi di sapere, e in generale a rinforzare un senso di appartenenza, riflettendo sulla sacralità della ricerca. È all’interno di questo spazio sacro che si eleva la consapevolezza dei partecipanti, accomunati da un sentimento di rispetto reciproco e di dovere di onorare e prendersi cura delle persone e degli ambienti che ci circondano [46]. Non è un caso che una simile modalità di ricerca in ambienti indigeni venga paragonata ad una cerimonia sacra: “research is a ceremony”, ricorda Shawn Wilson [43].

La gratitudine è un valore fondamentale nel lavoro di cura delle relazioni. Essa procura benefici fisici e psicosociali [47] e, nel nostro lavoro, si traduce nella riconoscenza verso ciò che sappiamo, verso le modalità in cui apprendiamo e verso chi insegna e chi ascolta. Insegnamento e ricerca spesso si svolgono in contesti nei quali non si prende atto del privilegio delle posizioni rivestite da chi insegna e chi ricerca, né dei sistemi di sapere cui si attinge. In ambito etnografico e di ricerca partecipativa, il rischio è di agire senza il permesso e il consenso da parte delle comunità (indigene e non) con le quali si instaura il dialogo. Attraverso l’esercizio della gratitudine ristabiliamo le relazioni su un terreno di parità, sperimentando il valore della riconoscenza, dell’umiltà e della nostra umanità [48]. Tale consapevolezza ricollega l’umanità all’umiltà, e dunque alla terra alla quale tutti apparteniamo [49]. Le barriere tra soggetto ed oggetto della conoscenza sono così superate e attraverso la ricerca attiva, l’uso di linguaggi non verbali e inclusivi, e la creazione collettiva delle risposte dietro alle regole di comportamento, viene svelato un nuovo significato del principio di uguaglianza in cui nessuno è escluso.

La co-creazione di approcci partecipati alla ricerca e all’insegnamento si configura come una risposta metodologica alle sfide ecologiche, attraverso una prospettiva che prende in considerazione l’aspetto relazionale di tali sfide e cerca di sanare le lacerazioni che derivano da tale disfunzionalità. L’approccio teorico all’ecologia integrale, che include una valutazione delle diverse dimensioni dell’ecologia (naturale, economica, sociale, politica, culturale e umana), va, ad avviso di chi scrive, integrato con una ricerca pratica che pone al centro dell’investigazione i rapporti di ogni singola parte con il tutto. In questo modo, è possibile mettere in luce questioni che non vengono generalmente trattate in relazione alla questione del degrado ecologico, per lavorare sul rapporto duale, conflittuale che intercorre fra umano e non-umano, natura/cultura. Tutto è interconnesso.

Attraverso il consolidamento di pratiche di gratitudine, stima e fiducia reciproca, e la presa di coscienza della parità di tutti i soggetti di fronte alla ricerca della conoscenza, le autrici concludono che è possibile sanare ferite relazionali e in questo senso offrire una soluzione alle sfide ambientali – che sono anche e soprattutto sfide relazionali – del nostro tempo.

 

 

Contributi: Le autrici hanno entrambe contribuito alla concettualizzazione, metodologica, preparazione delle bozze, scrittura, revisione concettuale e formale del manoscritto. MP Poto ha contribuito alla concettualizzazione, scrittura e revisione dei paragrafi 1,2,3, ad eccezione del paragrafo 2.2.2. A Porrone ha collaborato alla redazione dei paragrafi 1,2,3 ed è sola autrice del paragrafo 2.2.2.

Finanziamenti alla ricerca: La ricerca di MP Poto è finanziata dalla Faculty of Law UiT The Arctic University of Norway grant number ID – 2061344

Ringraziamenti: Le autrici ringraziano Val Napoleon, Rebecca Johnson (ILRU, Canada) per il sostegno e l’ispirazione, e Valentina Russo per le illustrazioni delle diverse fasi progettuali.

Conflitti di interesse: Le autrici dichiarano l’assenza di conflitti di interesse.

 

References

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  21. Valentina Russo (illustrator), A Story About Knowledge in Arianna Porrone, Margherita P. Poto (eds) (Aracne forthcoming 2021-2022).
  22. Margaret Hagan website. <https://law.stanford.edu/directory/margaret-hagan/> visitato il 1 maggio 2021.
  23. Margaret Hagan, ‘A Human-Centered Design Approach to Access to Justice: Generating New Prototypes and Hypotheses for Intervention to Make Courts User-Friendly’ (2018) 6(2) Indiana Journal of Law and Social Equality, 199. 207: “Un ultimo campo correlato (allo Human Centered Design Approach) è la ricerca azione legale partecipativa. Come l’approccio incentrato sui bisogni umani, anche questa forma di ricerca azione implica un lavoro a stretto contatto con le parti interessate intorno a una determinata sfida, e incoraggia ricercatori e ricercatrici a usare un approccio interattivo e creativo verso nuove intuizioni. Il legal design si ispira all’approccio della ricerca azione partecipativa nelle scienze sociali. Esso mette in relazione ricercatrici, ricercatori, comunità di persone e contesti di studio” [nda].
  24. Si veda per esempio: <https://fcmlaw.com.br/iniciativas/legal-hack/> visitato il 9 giugno 2021.
  25. ‘Training Manual on Incorporation of Traditional Knowledge into the Description and Identification of Areas Meeting the Scientific Criteria for Ecologically or Biologically Significant Areas (EBSAs)’. org/Module_4_4fU4I.pdf.file e <https://www.cbd.int/sbstta/sbstta-20/DRAFT-TK-and-EBSA-manual-for-peer-review-15MAR2016.pdf> visitato il 9 ottobre 2021.
  26. Per l’analisi dello spirito Nanaboozhoo e del suo significato nelle storie indigene Ron Messer, ‘A Structuralist’s View of an Indian Creation Myth’ (1989) 31(2) Anthropologica, 195.
  27. Per una raccolta di storie su Nanaboozhoo si rinvia a Robin Wall Kimmerer, Braiding Sweetgrass. Indigenous Wisdom, Scientific Knowledge and the Teaching of Plants (Penguin Books 2020), 205.
  28. Si tratta dello stesso atto di «agnizione» proprio dell’indovino Tiresia come descritto da Omero, il «mántis», capace di mettere insieme le unità sintattiche del discorso divino e comprenderne il senso nell’animo. Il «mántis» greco infatti vede attraverso gli occhi della mente. Carmine Pisano, ‘Vedere e ascoltare con la mente. Antropologia dell’indovino nella Grecia Anticà (2012) numero speciale I Quaderni del Ramo D’Oro on-line,
  29. Il progetto nasce anche con l’obiettivo di offrire uno strumento di aiuto e cura per i profughi politici e ambientali accolti a Lampedusa e pertanto, nella sua versione senza testo, verrà sottoposto all’attenzione della rete Ibby Network, nel programma “Silent Books. Final Destination Lampedusa”. ‘iBby International Board on Books for Young People’. <https://www.ibby.org/awards-activities/activities/silent-books.> visitato il 27 maggio 2021.
  30. Per una descrizione dei corsi <https://www.management.unito.it/do/docenti.pl/Alias?margherita.poto#tab-didattica> visitato il 28 maggio 2021.
  31. Webinar della lezione disponibile su <https://globalhealthoffice.mcmaster.ca/news-events/speaker-series/the-arctic-a-global-health-perspective/> visitato il 28 maggio 2021.
  32. Sito del Dipartimento <http://spocri.unimc.it/it/dipartimento> visitato il 18 giugno 2021.
  33. Arianna Porrone, Margherita P. Poto, ‘Storie che sanano ferite. Il sapere indigeno e il potere ristoratore del diritto (2 marzo 2021). <https://frida.unito.it/wn_pages/contenuti.php/427_culture-produzione-culturale-e-artistica-filosofia/469_storie-che-sanano-ferite-il-sapere-indigeno-e-il-potere-ristoratore-del-diritto/> visitato il 28 maggio 2021.
  34. Amy Coplan, Peter Goldie (a cura di) Empathy: Philosophical and psychological perspectives ( Oxford University Press, 2011).
  35. Maria Buccolo, ‘La lettura ad alta voce come strumento di alfabetizzazione emotiva nella prima infanzià (2017) 13(29) Lifelong Lifewide Learning, 91.
  36. Antonietta Gostoli, ‘Un nuovo studio sulle funzioni dell’aedo nella società greca arcaicà (1986) 23(2) Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 157.
  37. Federico Batini, ‘Lettura e lettura ad alta voce’ (2012) 8(20) Lifelong Lifewide.
  38. Valeria Di Martino, ‘Il ruolo della narrazione nell’insegnamento apprendi-mento delle frazioni con situazioni a-didattiche’ (2010) 20 Quaderni di Ricerca in Didattica (Matematica) G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy), 1.
  39. Daniel Taylor, Le storie ci prendono per mano. L’arte della narrazione per curare la psiche (Frassinelli 1999).
  40. Antonio Nanni, ‘La pedagogia narrativa: da dove viene e dove và in Raffaele Mantegazza (a cura di), Per una pedagogia narrativa, (EMI, 1996).
  41. Enrico Giraudi, Tecnologie dell’intuizione. Liberare il potenziale creativo delle organizzazioni (goWare & Guerini Next 2019).
  42. Gabriella Lanza, ‘La scrittura di sé come cura e spazio per prendersi cura. Tracce, contesti, prospettive di pratica autobiografica. Un laboratorio per operatori sociali’ (2016) Bachelor’s thesis, Università CàFoscari Venezia.
  43. Shawn Wilson, ‘Research Is Ceremony. Indigenous Research Methods’ (2008) Fernwood Publishing Company Ltd. Halifax & Winnipeg, 1.
  44. For a glimpse into the group’s activities: <https://www.marinesocialscience.uni-kiel.de/en/welcome>, visitator il 18 giugno 2021.
  45. Donna J. Haraway, Staying with the Trouble. Making kin in the Chtulucene (Duke University Press 2016).
  46. Katie Kerstetter, ‘Insider, Outsider, or Somewhere Between: The Impact of Researchers’ Identities on the Community-Based Research Process’ (2012) 27(2) Journal of Rural Social Sciences.
  47. Leah Dickens, ‘Using gratitude to promote positive change: A series of meta-analyses investigating the effectiveness of gratitude interventions’ (2017) 39(4) Basic and Applied Social Psychology, 193.
  48. Piera Gabola, Nicolas Meylan, Geneviève Tschopp, ‘Sviluppare la gratitudine tra gli insegnanti per favorire il loro benessere: una rassegna di buone pratiche’ (2019) Paper presented at the 12 Giornate Nazionali di Psicologia Positiva, Università Cattolica di Milano.
  49. Sean Kane, ‘Humanus’ (2010) 13(1) Green Letters, 22.