Nonostante la latitudine il clima islandese è relativamente mite, inverni inclusi, e soggetto a cambiamenti repentini. L’Islanda si trova infatti nella zona di confluenza fra la calda corrente del Golfo e le fredde correnti marine provenienti dalla zona situata fra Canada e Groenlandia. Il proverbio: ”Non ti piace il tempo che fa? Aspetta un minuto” sintetizza l’estrema variabilità climatica a cui è soggetto il clima. Tuttavia l’influsso della corrente del Golfo consente temperature medie in linea con città come New York e Vienna, situate a ben altre latitudini.
La sua superficie complessiva è di 103.000 km², è la seconda isola più grande d’Europa, dopo la Gran Bretagna e prima dell’Irlanda. E’ situata a cavallo della dorsale medio-atlantica, ciò la rende soggetta ad una costante attività vulcanica ed altre manifestazioni di vulcanismo secondario come i geyser. La forte presenza di geyser sul territorio islandese ha reso possibile un’ampia disponibilità di energia geotermica cosicché buona parte della popolazione ha a disposizione acqua calda e riscaldamento a basso costo, nonché energia elettrica prodotta dalle centrali geotermiche. Se a quest’ultima si somma l’energia elettrica prodotta dalle numerose centrali idroelettriche sparse per l’isola, grazie all’abbondante presenza di fiumi e laghi, si arriva ad una copertura del fabbisogno elettrico nazionale del 64%. Ciò comporta per l’Islanda una quasi autosufficienza energetica e una dipendenza minore dagli idrocarburi rispetto a molti altri paesi europei, dipendenza che è destinata a diminuire ulteriormente nei prossimi anni.
Oltre che dalla presenza di laghi e di fiumi l’Islanda è caratterizzata da una costa molto frastagliata, motivo per cui il litorale è per la maggiore formato da fiordi. Spesso i fiordi hanno costituito delle anse naturali utilizzate come porti, attorno ai quali sono poi sorte le principali città islandesi (Reykjavìk, Keflavìk, Akureyri). Come ricordato in precedenza, la posizione geologicamente strategica dell’Islanda fa si che vi siano ben trenta vulcani attivi, buona parte di questi sono sottomarini e il più celebre è sicuramente quello di Surtsey. Fino al novembre 1963 esso era situato a 130m di profondità, intorno al 14 di quel mese iniziò una costante eruzione che durò per quasi quattro anni e generò l’omonima isola che ad oggi ha un’estensione di 1,4 km². L’isolotto di Surtsey è stato nominato bene protetto dall’UNESCO ed è curioso ricordare che mentre si stava formando, durante una pausa delle eruzioni, fu visitato da tre giornalisti francesi che dichiararono la sovranità francese sull’isola, salvo esser allontanati dall’improvvisa ripresa di violente esplosioni.
In ultimis, un altro forte elemento di distinzione dell’Islanda è la presenza di più ghiacciai che, complessivamente, coprono l’11% circa del suo territorio. Il più celebre, nonché il più esteso, è il Vatnajökull, vanta un’estensione di 8.300 km², uno spessore medio di 400m e da solo ricopre la somma di tutti i restanti ghiacciai europei. Al di sotto della sua superficie vi sono più vulcani, fra cui il Grímsvötn la cui eruzione nel 1996 causò lo scioglimento di 3 km³ di ghiaccio. Ciò comportò la formazione di un enorme lago glaciale al di sotto della calotta, un mese circa dopo l’eruzione si è riversato a valle provocando un’alluvione di dimensioni ciclopiche. I danni sono stati limitati in quanto il ghiacciaio si trova in una parte disabitata dell’isola e questo fenomeno (detto jökulhlaup in islandese, termine poi adottato anche dallo US Geological Survey) ha attirato l’attenzione di centinaia di studiosi. Altri ghiacciai conosciuti sono il Breiðamerkurjökull le cui lingue di ghiaccio arrivano fino al mare e lo Snæfellsjökull. Quest’ultimo è situato nei pressi della costa occidentale dell’Islanda e ricopre per intero il vulcano Snæfell, celebre per esser stato il punto di partenza di Otto Lidenbrock, protagonista di “Viaggio Al Centro Della Terra” di Jules Verne.
Quanto sopra è un sintetico approccio a questo paese, ultimo baluardo dell’Europa prima dei freddi ghiacci polari. L’Islanda è stata a lungo ritenuta l’ultimo avamposto di terra esistente, la cosiddetta Ultima Thule. Nel Medioevo si era arrivati ad identificare nel vulcano Hekla le porte dell’Inferno, a due passi dai contrafforti ghiacciati del Vatnajökull. Per questo e per molti altri motivi l’Islanda è da secoli considerata terra di contrasti, contraddizioni o, più semplicemente, “la terra del ghiaccio e del fuoco”.
Paesaggio nei dintorni di Akureyri
ISLANDA, LA STORIA
La scoperta e i primi insediamenti (VIII-IX sec.). L’Islanda è stata fra gli ultimi angoli del nostro globo ad esser abitata. La sua presumibile scoperta avvenne fra l’VIII e IX secolo e fu opera di alcuni monaci eremiti provenienti dall’Irlanda, seguaci di San Brendano di Clonfert detto “Il Navigatore”. Secondo la leggenda San Brendano passò buona parte della sua vita in viaggio per l’oceano alla ricerca dell’ “Isola dei Beati”, un luogo mitico dove non esisterebbero né dolore né morte. Seguendo la vocazione del loro santo ispiratore, questi monaci partivano dalle coste irlandesi e si cimentavano in spericolate esplorazioni dell’Atlantico Settentrionale. Per lo più seguivano a ritroso le rotte degli uccelli migratori che nel periodo estivo giungevano in Irlanda oppure si dirigevano verso i banchi di nuvole che avvistavano, sperando che queste fossero attirate da eventuali catene montuose. In questo modo furono scoperte (o riscoperte) molte isole della Scozia, le Shetland, le Orcadi, le Fær Øer e la stessa Islanda. In quest’ultima, trattandosi di una terra inospitale e disabitata, non crearono avamposti fissi.
Una recente scoperta però ha creato confusione su chi siano stati realmente i primi a mettere piede in Islanda. La scoperta sull’isola di monete romane risalenti al III secolo d.c. vicino a Bragdavellir stona con quanto appena detto. Si è ipotizzato che fossero stati direttamente i romani a spingersi fino all’ “Ultima Thule”, tuttavia delle ipotesi formulate questa è la più improbabile. Un’ipotesi più credibile prevede che questi reperti furono portati da genti britanniche “romanizzate” e che si erano spinte a nord, ancor prima dei monaci irlandesi o contemporaneamente a loro.[1]
Secondo il Landnámabók il primo norreno ad approdare in Islanda è stato Naddoður, un avventuriero vichingo che durante un suo viaggio verso le Fær Øer venne spinto più a nord da una tempesta. Ciò avvenne presumibilmente fra l’850 e l’860 e Naddoður battezzò l’isola Snæland (“Terra della Neve”). Il suo soggiorno durò pochi giorni e ripartì subito per le Fær Øer. La figura di Naddoður è al centro di numerose leggende infatti stando ad alcune di queste sarebbe stato il primo vichingo a metter piede in Nord America nonché un antenato di Erik il Rosso, padre del Leif Eriksson di cui si parlerà più avanti.
Qualche anno dopo seguì il viaggio dello svedese Garðar Svavarsson il quale stava compiendo un viaggio verso le isole Ebridi e venne investito da una tempesta al largo delle Orcadi. Anche lui venne spinto fortuitamente verso l’Islanda, ma il suo soggiorno fu più prolungato rispetto a quello di Naddoður. Svavarsson, che aveva avvistato la parte orientale dell’isola, la circumnavigò in senso orario. Arrivato l’inverno prima che lui potesse rientrare in patria decise di svernare nella baia di Skjálfandi nel nord del paese. Ribattezzò l’isola Garðarshólmur (“Isola di Garðar”) e ripartì alla volta delle Ibridi, di fatto fu il primo a stazionare in Islanda per un periodo prolungato di tempo, ma non vi rimise più piede.
Secondo alcune fonti durante la permanenza di Svavarsson nella baia di Skjálfandi uno dei suoi uomini, Náttfari, fuggì dal rifugio del suo capo insieme ad un servo ed una serva ed andò a nascondersi dalla parte opposta della baia dove visse stabilmente. Ancora oggi il paese presso il sito dove si sarebbe stabilito si chiama Náttfaravík (“Ruscello di Náttfari”), ma secondo il Landnámabók Náttfari non fu un colono permanente.
L’ultimo viaggio che fu intrapreso prima che partisse la colonizzazione dell’isola fu quello di Flóki Vilgerðarson. Non si sa con precisione quale sia la data del suo viaggio, tuttavia fu sicuramente posteriore a quella di Svavarsson poiché partì appunto per trovare l’ “Isola di Garðar”. Secondo il Landnámabók il suo viaggio iniziò dalle Fær Øer dove Flóki liberò tre corvi. Il primo tornò a terra, il secondo tornò sulla nave, il terzo invece puntò deciso verso nord e fu quello che Flóki seguì. Per questo motivo è stato rinominato Hrafna Flóki (in islandese) o Raven Flóki (in inglese, ma adottato dalla storiografia in generale, significa “Flóki il Corvo”). Durante il suo viaggio venne accompagnato da tre amici (Þórólfur, Herjólfur e Faxi) ed arrivò in una grande baia nel sud ovest del paese che ancora oggi si chiama Faxafloi (“Baia di Faxi”). Non approdò sulle rive della baia ma proseguì fino alla penisola più a nord, l’odierna Vatnsfjörður, dove restò per circa due anni ed esplorò il territorio circostante il suo campo. Durante una delle sue escursioni salì sulla vetta di un monte dal quale poté ammirare il panorama dell’isola. Flóki vide i ghiacciai che coprivano buona parte di quella terra nuova e rimase impressionato dagli iceberg che solcavano numerosi le acque dei fiordi. Folgorato da quel panorama di ghiaccio decise di battezzare l’isola con un nuovo nome, nome che è tutt’oggi Ísland (“Terra dei Ghiacci”).
Con il viaggio di Hrafna Flóki si conclude il ciclo di viaggio d’esplorazione di questa isola selvaggia. Coloro che in seguito giunsero in Islanda non erano più avventurieri o marinai, ma veri e propri coloni. Essi erano soprattutto nobili che scappavano dal nuovo regime instaurato in Norvegia da Harald “Bellachioma” nella seconda metà del IX secolo, essi erano i primi islandesi.
Dalla colonizzazione alla conversione al Cristianesimo (874 – 999). Nella prima metà del IX secolo (in pieno periodo di espansione vichinga, generalmente racchiuso fra il 793 e il 1066 d.c.) numerosi guerrieri partiti dalle coste norvegesi approdarono più volte sulle coste settentrionali di Scozia e Irlanda. Durante le loro razzie vennero a conoscenza delle scoperte geografiche effettuate dai monaci irlandesi qualche decennio prima e così in breve tempo si dedicarono alla colonizzazione di questi avamposti nel mezzo dell’Atlantico Settentrionale, spingendosi fino alla Groenlandia e all’isola di Terranova. Al proposito è necessario aprire una breve parentesi infatti, contrariamente a quanto generalmente accettato, i vichinghi arrivarono nel continente americano ben cinque secoli prima di Colombo. Ciò è narrato sia nella “Saga di Erik il Rosso” sia nella più attendibile “Saga dei Groenlandesi”, dove vengono raccontate le gesta e i viaggi di Leif Eriksson, ed è stato provato con la scoperta nel 1960 di un insediamento vichingo presso l’Anse aux Meadows sull’isola di Terranova.
In questo contesto di espansione l’Islanda divenne destinazione e anche punto di passaggio per molti emigranti provenienti dalla Norvegia a partire dalla fine del IX secolo. Per la datazione e l’attendibilità dei fatti inerenti alla colonizzazione dell’Islanda ci si affida all’ “Íslendingabók” (“Libro degli Islandesi”), un documento vergato da un prete islandese, Ari Þorgilsson (1067-1148). Þorgilsson riferisce in prosa tutte le informazioni che riesce a raccogliere circa i primi colonizzatori giunti in Islanda qualche decennio prima, la sua opera è ritenuta affidabile dagli storici[2] in quanto l’autore si è in più parti premurato di verificare la veridicità delle proprie fonti e, fatto non comune per un’opera di quell’epoca, nell’“Íslendingabók” c’è una volontaria esclusione di episodi legati al sovrannaturale o pregiudizi religiosi. Per questo motivo gli albori della storia islandese vengono ricondotti soprattutto a questo libro, esso sarà di fondamentale importanza anche per la tesi in oggetto dato il suo contenuto vario che narra anche della prima organizzazione assembleare che si danno i coloni.
L’“Íslendingabók” è composto da dieci capitoli, ognuno dei quali tratta rispettivamente de:
La nascita dell’Islanda: la colonizzazione inizia a seguito di una serie di importanti eventi accorsi durante l’unificazione del Regno di Norvegia sotto Harald “Bellachioma”. Costui nell’860 ereditò dal padre molti piccoli regni del Vestfold (regione sud-orientale dell’attuale Norvegia), mediante una lunga serie di conquiste e battaglie ampliò il suo regno fino alla costa occidentale e dopo la decisiva battaglia di Hafrsfjord divenne “re supremo”. Nonostante i successi militari continuò a resistere un fronte interno che si opponeva al nuovo sovrano. Questo fronte era composto prevalentemente dai capi e dalla nobiltà dei precedenti stati e Harald, sentendosi costantemente minacciato, esiliò tutti coloro che riteneva potessero rappresentare una minaccia per lui. Harald “Bellachioma” fu così involontariamente uno dei “promotori” dell’espansione vichinga di quel periodo e soprattutto della colonizzazione dell’Islanda. Secondo Þorgilsson il primo esule a creare un insediamento stabile in Islanda fu Ingòlfur Arnarson che costruì la sua fattoria nelle vicinanze dell’attuale Reykjavìk nell’874. A lui seguirono molti altri norvegesi che partivano alla volta dell’Islanda con la propria famiglia o anche, chi poteva permetterselo, con i propri schiavi e i propri averi (utensilerie, bestiame).
L’eredità delle leggi norvegesi: in breve tempo l’Islanda cominciò a popolarsi e venne disseminata di fattorie, le quali venivano stabilite soprattutto in prossimità della costa. Benché in rapporto all’estensione dell’isola il numero degli abitanti era decisamente esiguo (circa 35.000 persone), né sorsero villaggi di grandi dimensioni, si sentì presto l’esigenza di istituire delle apposite assemblee dove dirimere le contese fra i coloni e disciplinare altre questioni della vita quotidiana. Un uomo di nome Ulfljótr importò dalla Norvegia le prime leggi mentre un altro, Grímr Goatshoe, fece il giro dell’isola per organizzare delle assemblee locali.
L’insediamento dell’Alþingi: i coloni si diedero un’organizzazione locale, tuttavia nel 930 in una spianta che si trova nella parte sud-occidentale dell’isola venne istituita una camera parlamentare comune: l’Alþingi. Qui iniziarono a riunirsi annualmente i “go?ar”, ovvero gli uomini di maggior spicco provenienti da ogni parte dell’isola. Il luogo dove si riuniva questa assemblea venne chiamato Þingvellir (“pianura del parlamento”), i partecipanti eleggevano al proprio interno una sorta di presidente dell’assemblea detto “legislatore” che si occupava di dirigere i lavori. Spesso veniva scelto fra i membri più anziani e carismatici e, secondo Þorgilsson, il primo ad essere scelto per ricoprire questa carica fu lo stesso Ulfljótr.
La scelta del calendario: i coloni presto si accorsero che il calendario di cinquantadue settimane precise (quindi di trecentosessantaquattro giorni) non era preciso e mancava almeno un giorno ogni anno. Þorgilsson narra di un’accesa riunione dell’Alþingi dove i più saggi riconoscono l’imperfezione del calendario, ma sono altresì riluttanti a modificarlo e renderlo imperfetto con l’aggiunta di un giorno. La questione venne argutamente risolta da un uomo chiamato Þorsteinn e detto Surtr (“il nero”) che propose di aggiungere una settimana ogni sette anni, mettendo tutti d’accordo.
La divisione dell’Islanda in quadranti giuridici: poiché le assemblee locali non bastavano a dirimere le questioni giuridiche più complesse l’Alþingi fu chiamato a decidere una sorta di riforma del sistema giudiziario. Secondo Þorgilsson il problema si pose quando un uomo chiamato Þórðr presentò durante una seduta dell’Alþingi un caso che in sede di assemblea locale non era riuscito a risolvere, questo infatti riguardava persone rappresentate anche in altre assemblee. Si poneva quindi un problema di disciplina delle competenze. La soluzione che venne adottata fu quella di creare una corte di appello e una corte giuridica per ogni tre assemblee locali, quattro nel caso delle assemblee del nord dell’isola. In definitiva le corti saranno quattro, corrispondenti ai punti cardinali, più la corte di appello.
La scoperta e l’insediamento della Groenlandia: in questo capitolo Þorgilsson pone le basi di quella che poi diventerà una vera e propria saga, la “Saga di Erik il Rosso”. Eiríkur Þorvaldsson detto Rauði (“il rosso”, appunto) nacque in una famiglia benestante intorno al 940 in Norvegia, paese dal quale fu costretto a fuggire in seguito ad una condanna per omicidio. Come molti prima di lui partì alla volta dell’Islanda. Bandito pure in Islanda decise di andare alla scoperta di una terra di cui si narrava l’esistenza verso occidente portandosi appresso la propria famiglia e i propri averi. Dopo un viaggio estenuante scoprì la Groenlandia e la perlustrò per tre anni circa in attesa che scadesse il bando che lo teneva lontano dall’Islanda. Una volta tornato in Islanda cercò di convincere altre persone a seguirlo per tornare in Groenlandia e avviare la colonizzazione di quella terra da lui definita verde e rigogliosa. Lo seguirono in molti affascinati dall’entusiasmo con cui Erik descrisse questa nuova terra promessa, non si sa se il nome che gli diede (“Gr?nland” vuole appunto dire “terra verde”) corrispondesse alla realtà o fosse soltanto un artificio per convincere più gente a seguirlo. Poiché il viaggio di Erik avvenne durante il cosiddetto “Periodo Caldo Medioevale” (un periodo durante il quale le temperature dell’emisfero settentrionale erano particolarmente elevate) non è da escludere che la Groenlandia fosse realmente più accogliente di quanto non sia oggi. L’ultima parte di questo capitolo è dedicata al figlio di Erik, Leif Eriksson, il quale proseguì l’esplorazione dell’Atlantico verso occidente andando ad approdare nella mitica Vinland che, con ogni probabilità, corrisponde all’attuale isola di Terranova.
Conversione dell’Islanda al Cristianesimo: fin dalla sua colonizzazione in Islanda non esisteva una religione ufficiale e i culti che venivano praticati erano i culti pagani importati dalla madrepatria norvegese. Nel prologo dell’ “Íslendingabók” Þorgilsson racconta come all’arrivo dei primi esuli norvegesi, i monaci irlandesi presenti sull’isola preferirono andarsene senza interferire con i nuovi arrivati. Se in questo caso non c’era stata occasione di entrare in contatto con praticanti della religione cristiana la situazione venne stravolta completamente alla fine del X secolo. Nel 995 in Norvegia salì al trono Olaf I Tryggvason (bisnipote di Harald “Il Chiaro”), la sua vita e la sua morte sono avvolte in una moltitudine di leggende, certo è che il suo regno durò dal 995 fino a quando venne ucciso nel 1000. Nonostante la brevità del suo regno avviò la conversione della Norvegia al cristianesimo, conversione che avvenne in modo tutt’altro che pacifico e creò una forte opposizione interna da parte di chi era più legato ai culti pagani. Circa i motivi della sua “svolta cristiana” sono state formulate due differenti ipotesi: la prima afferma che Olaf venne in contatto col culto cristiano durante le numerose razzie a cui prese parte in Gran Bretagna e ne fu folgorato quando rischiò la vita durante un assalto, la seconda più verosimile invece rimanda all’interesse a stringere alleanze con i sovrani europei, ormai da lungo tempo cristianizzati, che avrebbero visto di buon occhio il suo tentativo di sottomettere le altre popolazioni della Scandinavia, considerate rozze e ancora legate a culti pagani primitivi. Come la Norvegia, anche l’Islanda rientrò nei piani di Olaf il quale vi inviò un missionario di origini tedesche, Þangbrandr, per raggiungere il suo obiettivo. Þangbrandr giunse in Islanda nel 997, riuscì a convertire alcuni go?ar, ma si trovò di fronte più nemici che alleati. La sua missione andò di male in peggio, venne anche sfidato a duello da uno dei caporioni più influenti e Þangbrandr si presentò allo scontro munito di crocefisso anziché di spada. Altri suoi oppositori ingaggiarono una strega affinché lo eliminasse con qualche sortilegio e questa tentò realmente di farlo fuori ma con metodi non molto ultraterreni. Lui si salvò per miracolo e alcuni fra i poeti più famosi dell’isola gli dedicarono alcuni versi per irriderlo delle sue disfatte. Þangbrandr se la prese male e persa ormai ogni speranza di portare a termine la sua missione decise di farsi giustizia. Si lanciò alla ricerca di Vetrliði Sumarliðason, uno degli autori dei versi diffamatori, e lo uccise in combattimento. L’episodio è immortalato in una delle più celebri sagre islandesi, la “Saga di Njali”:
Ryðfjónar gekk reynir | Lui che provò sul suo scudo la spada |
randa suðr á landi | per le terre del sud vagò predicando |
beðs í bœnar smiðju | lui che i nemici lasciava sul campo |
Baldrs sigtólum halda ; | marciò sulla rima incriminata, |
siðreynir lét síðan | forte guerriero della falce da guerra |
snjallr morðhamar gjalla | della sua lama di vendetta assetata |
hauðrs í hattar steðja | sì l’assaggiò dell’eroe l’elmo |
hjaldrs Vetrliða skaldi. | cranio di Vetrliði lo skaldo.[3] |
Un altro poeta, Þorvaldr detto Veili (“il malaticcio”), saputo della sorte toccata all’amico tentò di vendicarlo, ma Þangbrandr venne a conoscenza dei suoi propositi e lo uccise prima ancora che questi potesse organizzarsi. Prima di abbandonare l’Islanda ebbe il tempo di macchiarsi di un altro omicidio, dopodiché tornò alla corte di re Olaf e gli spiegò che la speranza di convertire gli islandesi era prossima allo zero. Olaf divenne furibondo e minacciò di radere al suolo una per una tutte le fattorie dei coloni, ma fu fermato da Gizurr Teitsson e Hjalti Skeggjason, due membri dell’Alþingi convertiti al cristianesimo, che gli spiegarono le malefatte commesse da Þangbrandr e gli promisero di risolvere la questione pacificamente. Durante la seduta del 999 (anche se in certi manoscritti è indicata quella del 1000) nell’Alþingi si scatenarono le discussioni fra la fazione cristiana e quella pagana, i contrasti arrivarono a tal punto che ognuna delle due fazioni elesse un proprio legislatore. Tuttavia proprio i due rappresentanti scelti giunsero ad una soluzione pacifica, con Þorgeirr Ljósvetningagoði (della fazione dei pagani) che passò una notte insonne sotto un cumulo di pelli per pensare ad un compromesso accettabile. L’accordo finale previde che tutti gli islandesi si convertissero al cristianesimo, tuttavia gli era consentito di continuare a praticare riti pagani privatamente. Per suggellare l’accordo Þorgeirr si convertì lui stesso, gettò i suoi amuleti nelle cascate vicine alla sua residenza che presero l’attuale nome di Goðafoss (“cascate degli dei”).
Il principio della colonizzazione dell’Islanda è anche preludio e leitmotiv del periodo sanguinoso che seguirà. Secondo la leggenda infatti Ingólfr Arnarson sbarcò in Islanda con il suo fratellastro Hjörleifur Hróðmarsson. Il primo si stabilì presso l’odierna Reykjavík mentre il secondo venne assassinato poco tempo dopo da alcuni suoi schiavi irlandesi. Informato di ciò Ingólfr andò alla ricerca degli assassini e li raggiunse in un arcipelago a sud dell’Islanda dove li uccise tutti. Per questo motivo oggi queste isole si chiamano Vestmannaeyjar (“Isole degli uomini dell’ovest”, gli schiavi irlandesi appunto). Questo fu solo il primo di una lunga serie di faide che avrebbe caratterizzato la vita di questa giovane colonia, faide che sarebbero sfociate in una vera e propria guerra civile.
Gli ultimi capitoli dell’ “Íslendingabók” consistono nella biografia e nella genealogia dei primi vescovi d’Islanda e dei legislatori che si erano susseguiti alla guida dell’Alþingi. Sebbene siano state pagine fondamentali per ricostruire la storia dei primi secoli di vita dell’Islanda, è impossibile riportare su queste pagine una tale mole di lavoro. Nei paragrafi e nei capitoli successivi verranno comunque riprese queste informazioni quando qualcuno di questi personaggi interverrà in maniera decisiva nel proseguo della storia. Un’ultima annotazione relativa all’ “Íslendingabók” riguarda la sua versione, originariamente infatti ne esistevano due versioni e quella utilizzata da me (e da tutti gli altri studiosi e appassionati dell’Islanda) è la seconda. La prima infatti è andata perduta e con essa un ulteriore capitolo dedicato ai sovrani norvegesi che si succedettero in quel periodo.
Goðafoss, le “cascate degli dei”
Lo sviluppo e la fine del Libero Stato Islandese (999-1262). Se per il primo secolo di vita della colonia islandese ricopre un’importanza fondamentale l’ “Íslendingabók” come fonte di dati affidabili, per il periodo successivo è decisivo l’apporto di numerose saghe dell’epoca. Nella maggior parte dei casi la stesura delle saghe è postuma di qualche decennio agli eventi, in alcuni casi invece l’autore è stato anche un attore coinvolto direttamente degli eventi.
Lo sviluppo portato dalla conversione. La conversione del 999 rappresenta l’entrata dell’Islanda nell’orbita della civiltà occidentale. Attraverso la chiesa infatti gli islandesi abbattono la barriera che, salvo contatti saltuari con la madrepatria norvegese, li aveva tenuti lontani dal resto del mondo. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che inciderà non solo sul credo di questa giovane colonia, ma anche sulla sua organizzazione politica, sociale e soprattutto sulla sua cultura. Dal continente arrivano molteplici influenze: il feudalesimo, lo stile romanico e quello gotico, ma soprattutto l’alfabeto latino.
A partire dal 1117 infatti l’Alþingi decide di codificare le decisioni passate e future prese nella sua sede. Durante l’inverno successivo un’apposita commissione di saggi si riunisce presso la fattoria di Haflidi Másson e guidati da Bergþór Hrafnsson, il legislatore di quel periodo, danno alla luce la Grágás (letteralmente significa “oca selvaggia”). Non si sa con precisione da cosa sia stato giustificato l’uso di tale termine, si è ipotizzato che sia stata scelta questa parola per tre motivi diversi: questa raccolta di leggi è stata vergata con penna d’oca, è stata scritta su pelle d’oca oppure per conferirle una sorta di sacralità, le è stato dato il nome dell’uccello più longevo che popolava l’isola.
La nascita della Chiesa Islandese. Di pari passo andava sviluppandosi la Chiesa Islandese. Sull’isola iniziavano ad ergersi le prime chiese, spesso erano gli stessi goðar ad esserne garanti e promotori e inizia anche a svilupparsi un ceto clericale del posto. Spesso i rappresentanti di questo nuovo ceto provenivano dalle stesse famiglie di spicco che avevano il predominio sull’isola e ciò contribuì ad aumentare sia la stratificazione sociale sia la rivalità fra i vari goðar. Come vedremo più avanti da qui partì un’escalation di vendette e lotte intestine che avrebbe riportato l’Islanda sotto il diretto controllo della Norvegia.
La prima diocesi fu creata a Skàlholt, paese di cui era originario Ísleifur Gizurarson il quale fu nominato primo vescovo d’Islanda nel 1056. Non si trattò di una scelta casuale, Ísleifur altri non era che il figlio di quel Gizurr Teitsson che aveva trattato direttamente con Olaf I, re di Norvegia, la cristianizzazione dell’isola. Ísleifur Gizurarson, uomo colto e cresciuto culturalmente in Germania, fu una figura fondamentale per lo sviluppo di questo processo, anche se ne perpetuò una gestione a tratti familiare. Oltre a fondare la prima diocesi nel suo paese natale, ivi aprì anche la prima scuola d’Islanda da cui uscì la maggior parte degli attori di spicco degli anni successivi. Fra questi ne distinguiamo due ovvero lo stesso figlio di Ísleifur, Gizurr Ísleifsson, che gli succedette come vescovo di Skàlholt e soprattutto Jón Ögmundarson che fondò la seconda diocesi islandese presso Hòlar nel nord del paese. Ögmundarson si distinse per la sua azione contro chi ancora celebrava riti pagani, grazie al suo stretto rigore morale e la sua azione convinta fu l’attore decisivo per l’affermazione definitiva del cristianesimo in Islanda. Arrivò anche a cambiare i nomi della settimana, fino a quel momento ancora dedicati ad Odino e Thor, e ad oggi ancora in uso. Tuttavia va ricordato che l’interesse, e probabilmente anche il culto, verso i riti pagani non sparì definitivamente e gli stessi autori islandesi di spicco dei secoli successivi ne tennero sempre conto.
Rapidamente l’influenza della Chiesa si insidiò anche nelle sedute dell’Alþingi. Grazie all’influenza di Gizurr Ísleifsson lo stesso Alþingi approvò una legge che prevedeva il versamento di un tributo alla Chiesa e le stesse parrocchie potevano godere di alcuni privilegi e donazioni. Tuttavia per queste ultime, visti gli legami che vi erano fra clero locale e famiglie predominanti, si trattava di un benessere relativo che spesso andava a favore delle stesse famiglie. Durante il XII secolo l’azione della Chiesa all’interno dell’Alþingi fu ancora più intraprendente, grazie anche alla proclamazione di una nuova arcidiocesi che comprendeva la Norvegia e tutte le sue zone di influenza oltremare. Una figura che si distinse in questo periodo fu Þorlákur Þórhallsson, vescovo di Skàholt dal 1178 fino alla sua morte nel 1193. Þorlákur Þórhallsson, che aveva compiuto i suoi studi fra Parigi e Lincoln (Inghilterra centro-orientale), prima fondò un monastero dell’ordine agostiniano a Þykkvibær nel 1161 dopodiché tentò di riformare la classe clericale, per lui troppo distante dai veri dettami del cristianesimo. Þórhallsson rifiutò più volte di sposarsi e si batté per sradicare la simonia, largamente diffusa fra i chierici islandesi, per rendere il clero indipendente dalle famiglie dominanti e altresì per rendere la Chiesa un’entità indipendente e a sé stante. Il coraggio che ebbe di andare in controtendenza rispetto ai canoni del tempo gli valse la nomina a santo, proclamata direttamente dall’Alþingi nel 1198. Considerato il proprio santo patrono da parte degli islandesi, lo è diventato ufficialmente nel 1984 quando venne canonizzato ufficialmente da Giovanni Paolo II.
Economia e società del XI-XII secolo. Questo è probabilmente uno dei momenti migliori per il “Commonwealth Islandese”. L’economia è in costante espansione, le mete dei commercianti islandesi sono soprattutto la Gran Bretagna, la Norvegia e l’Irlanda e, grazie agli scambi commerciali, pure la popolazione diventa più variegata. Il ceppo dominante rimane sempre quello degli esuli norvegesi, ma a questi si aggiungono anche Danesi, Svedesi, Sassoni, persino fiamminghi e soprattutto una consistente colonia di celti. L’economia islandese si basa soprattutto sull’allevamento estensivo (bovini e ovini), la pesca (salmoni, trote, merluzzi e aringhe), la caccia (alle foche e alle balene). Il clima inadatto e una terra inospitale non permettono grandi colture né sono presenti grandi foreste, per questo motivo le importazioni consistono soprattutto in grano e legname. A questi si aggiunge il ferro e, per chi poteva permetterselo, anche vino, abiti di seta e oggetti d’arte.
In questi due secoli sparì anche ogni forma di schiavitù, benché non venga mai ufficialmente abolita. I sovrani norvegesi inoltre sono impegnati costantemente su più fronti (inglese, danese e svedese) e, al di là dei contatti di natura commerciale, non hanno tempo per curarsi dell’Islanda la quale continua a beneficiare di uno status di pressoché totale autonomia amministrativa. L’economo David Friedman, figlio del premio Nobel Milton, utilizzò questi due secoli di “Commonwealth Islandese” per esplicare la sua teoria di anarco-capitalismo. Secondo lui infatti l’Alþingi era più una camera di commercio che un parlamento atto a legiferare e la totale assenza di un corpo burocratico-amministrativo lasciava nelle mani degli islandesi tutte le prerogative di un’autogestione della loro società.[4]
Ciò ovviamente non giovava alla quiete pubblica dell’Islanda. Il concetto di “pace” in quel periodo era relativo, infatti fin dal principio della colonizzazione la società che si creò aveva dei connotati abbastanza violenti. Le persone giravano abitualmente armate e non si facevano molti problemi ad usarle. Una forte e ampia concezione dell’onore che andava dalla sfera familiare, a quella degli affari passando per gli interessi politici, faceva sì che le dispute e i litigi fossero all’ordine del giorno. Non di rado ci scappava il morto e ciò generava regolamenti di conti e faide che spesso coinvolgevano intere famiglie. Da contrappeso fungevano gli interventi di altri caporioni esterni alla faida, ma soprattutto due istituti come il guidrigildo e l’esilio. Tramite il guidrigildo, la famiglia della persone uccisa aveva diritto al rimborso di una somma che era tanto più elevata tanto più alto era il censo della vittima e aveva la funzione di dirimere definitivamente una faida. L’esilio invece poteva essere a scadenza, come era stato nel caso di Erik il Rosso, o anche permanente a seconda dell’efferatezza del reato.
L’inizio della crisi e i primi scontri del 1208. Nonostante questi deterrenti col passare del tempo l’autoregolamentazione non bastò più a gestire i vari regolamenti di conti e vi fu un’escalation di violenza che caratterizzò buona parte del XIII secolo. Questa situazione si venne a creare dopo che il potere venne circoscritto da poche famiglie, basti pensare che nel 1220 ben l’80% del territorio era controllato da sole cinque famiglie. Ciò contribuì ad accentuare la rivalità fra le diverse fazioni le quali cominciarono a scontrarsi sempre più spesso e comportarono uno stato vero e proprio di guerra civile. Non solo, le lotte per il potere erano inasprite dalle interconnessioni che i clan avevano con la struttura ecclesiastica. Anche la Chiesa Islandese infatti fu coinvolta in prima persona, avere della propria parte il vescovo di una delle due diocesi spesso poteva risultare decisivo. Fu proprio un dissidio fra un goði e il vescovo di Hòlar a dare il fuoco alle polveri nel 1208. In quel momento i clan principali che dominavano l’isola erano[5]:
gli Haukdælir di Árnesþing. Essi avevano il predominio nella parte sud-occidentale del paese. Erano stati fra i primi a convertirsi al cristianesimo e per questo costituivano un punto di riferimento anche per i regnanti norvegesi. Durante la guerra civile l’esponente di maggior spicco fu Gissur Þorvaldsson, il quale si batté per promuovere l’annessione dell’Islanda alla Norvegia. Ci riuscì nel 1262 dopo aspri e continui scontri con membri della famiglia Sturlungar e il trattato fu a lui stesso intitolato: Gissurarsáttmáli (“trattato di Gissur”).
gli Oddaverjar di Rangárþing. Fra i primi colonizzatori a giungere in Islanda ne diventano la famiglia più importante durante il XII secolo. Nel loro quartier generale di Oddi avevano organizzato anche un centro culturale di cui, alla fine di questo secolo, era stato leader un go?i particolarmente importante: Jón Loftsson. Questi oltre ad essere uno dei politici più influenti di quel periodo, si curò dell’educazione di Snorri Sturluson della cui importanza parleremo più avanti. Agli inizi del ‘200 l’autorità della famiglia è in fase discendente e per questo durante la guerra civile non giocheranno un ruolo di primo piano. Solo dopo la firma del Gissurarsáttmáli tenteranno di far sentire il proprio peso per opporsi all’ascesa di Gissur Þorvaldsson.
gli Ásbirningar di Skagafjörður. Era la casata dominante nel nord del paese, noti per la loro abilità come politici e pure come guerrieri. La figura di maggior peso di questo clan è Kolbeinn Tumason. All’inizio del XIII secolo era probabilmente l’uomo più conosciuto ed influente del paese, fu proprio lui nel 1208 a mettere in moto i contrasti che avrebbero portato alla guerra civile. Morto in quell’anno durante la battaglia di Víðines, gli succedette Kolbeinn Arnórsson che combatté al fianco di Gissur Þorvaldsson contro gli Sturlungar. Egli morì a sua volta nel 1245 e la sua casata si dissolse un anno dopo con la morte in battaglia del figlio.
i Vatnsfirðingar di Ísafjörður. La loro influenza si estendeva sulla penisola nord-occidentale, soprattutto durante il XII secolo e non furono fra i protagonisti della guerra civile.
gli Svínfellingar di the Eastfjords. I loro possedimenti si trovavano sulla costa est dell’Islanda. La loro famiglia è famosa soprattutto perché fra i propri avi annovera dei personaggi eccellenti, dai contorni addirittura epici. Appartenente alla famiglia degli Svínfellingar vi è infatti Flosi, uno dei protagonisti del “Rogo di Njal”, una delle più celebri saghe islandesi. Anche loro come i Vatnsfirðingar non svolgono un ruolo di primo piano durante la guerra civile.
gli Sturlungar di Hvammur. Si tratta di una famiglia numerosa che estende il suo dominio dalla costa ovest ai territori più a nord ovest dell’isola. La storia della famiglia va a comporre una delle altre celebri saghe islandesi, la “Saga degli Sturlungs” di cui si tratterà più avanti. Il membro di maggior spicco in assoluto fu sicuramente Snorri Sturluson il quale è tutt’oggi uno dei personaggi storici islandesi più importanti. Egli viene infatti annoverato fra i poeti più importanti della sua epoca in quanto autore delle opere più conosciute in quel periodo, due su tutte: l’ “Edda” (manuale di epica norrena e poesia islandese, si tratta di un’opera molto complessa che Snorri ha composto attingendo dalle fonti della cultura pagana) e l’ “Heimskringla” (raccolta di saghe in prosa che ricopre la dinastia dei re norvegesi del IX e X secolo). Tuttavia è anche un fondamentale attore politico islandese del periodo, ricopre per ben due volte la carica di Legislatore e cade vittima della guerra civile. Fra gli Sturlungar vanno ricordati anche Sturla Sighvatsson, figlio del fratello di Snorri, caduto in battaglia e suo fratello Þórður Sighvatsson detto Kakali (probabilmente “il balbuziente”) il quale riuscì a interferire notevolmente con i propositi di Gissur Þorvaldsson.
La guerra civile islandese generalmente viene collocata fra il 1220, anno in cui Snorri Sturluson viene nominato vassallo del re norvegese Haakon, e il 1264 ovvero l’anno della firma dell’ “accordi di Gissur”. Come detto in precedenza già all’inizio del secolo si hanno violenti scontri che coinvolgono attori di primo piano. All’inizio del ‘200 Kolbeinn Tumason è infatti uno degli uomini più influenti del paese e tuttavia avverte quanto la potenza della sua famiglia sia precaria e in bilico. Intuendo l’importanza che rivestiva la Chiesa Islandese vi infiltrò molti dei suoi uomini di fiducia salvo che uno di questi gli si rivoltò contro una volta insediatosi come vescovo di Hòlar: Guðmundur Arason. Costui era riconosciuto come persona pia e devota, spesso dedita all’aiuto dei più bisognosi. Ciò gli invise molti go?ar in quanto le persone da lui aiutate erano spesso debitori dei caporioni più importanti. Kolbeinn Tumason entrò in contrasto con lui proprio quando, per una faccenda di debiti contratti da un predicatore, questi pretese di soggiogare la disputa al suo giudizio, scavalcando l’autorità ecclesiastica che invece era la titolare del potere di dirimere la questione. Guðmundur Arason reagì vergando il primo documento che rivendicava l’autorità della Chiesa sul giudizio di propri esponenti, provocando l’ira del suo ex mentore. Kolbeinn Tumason decise di punirlo, si alleò con membri dei clan Ásbirningar e Svínfellingar e si diresse alla volta di Hòlmar. Il vescovo però aveva a sua volta riunito intorno a sé un piccolo esercito, lo scontro avvenne a Víðines dove Kolbeinn Tumason perse la vita e il suo esercito si disperse.
Guðmundur Arason non poté goderne a lungo in quanto fu richiamato in Norvegia dall’arcivescovo e al suo ritorno in Islanda fu continuamente perseguitato dagli eredi dei clan da lui sconfitti. Per questo motivo la sua esperienza verrà accomunata a quella di Thomas Beckett e tuttavia non riuscirà più ad avere un ruolo politico di primo piano. Inoltre l’esito della battaglia di Víðines, e soprattutto la scomparsa di un attore del peso di Kolbeinn Tumason, aumentò la rivalità per contendersi il paese. Il vuoto da lui lasciato venne presto colmato da Snorri Sturluson il quale fu presto inviso ai capi degli altri clan e ad alcuni membri della sua stessa famiglia.
La guerra civile o era degli Sturlungs. Salito sul trono di Norvegia Haakon nel 1217, questi iniziò a pensare di annettere formalmente l’Islanda al proprio regno e tentò di portare avanti la sua causa in maniera pacifica, cercando continui compromessi con le figure islandesi più autorevoli. Nel 1220 nominò Snorri Sturluson vassallo di Norvegia, sperando che lo aiutasse nel suo intento, ma Snorri si prestò scaltramente a questo compito e non si dimostrò all’altezza dei personaggi di cui narrava le gesta. La sua tattica era quella di ricondurre tutti i go?ar sotto la sua autorità e, una volta portato a termine questo progetto, consegnare l’Islanda nelle mani del re. Il suo maggior oppositore era Sturla Sighvatson, figlio di suo fratello Sighvatur Sturluson, col quale entrò in aperto contrasto appena ci fu da contendersi la mano di una nipote del defunto Jón Loftsson. Questo matrimonio avrebbe portato in dote il dominio su alcuni importanti feudi dell’isola e fu così che iniziarono i primi scontri all’interno della stessa famiglia. Snorri organizzò due eserciti alla guida rispettivamente di suo nipote Böðvar Þórðarson e di suo figlio Órækja e marciò contro suo fratello Sighvatur e il di lui figlio Sturla. Tuttavia Snorri era riluttante a questo scontro e così all’alba della battaglia sciolse il suo esercito e cercò di negoziare con i due. Questi però non abbassarono le loro pretese e costrinsero Snorri a rifugiarsi presso altri go?ar, al ché Órækja riorganizzò il suo esercito intraprendendo azioni di guerriglia. Haakon tentò così di mediare a distanza, invitando i contendenti islandesi ad una conferenza di pace in Norvegia. Sighvatur colse la palla al balzo, col pretesto di esser disposto a trovare un accordo riuscì ad attirare in trappola Órækja e i più importanti alleati di Snorri che, ormai sconfitto, riparò presso il re in Norvegia.
Diventato Sturla l’anima politica dell’Islanda nel 1235, Haakon conferisce anche a lui la carica di vassallo sottoponendogli lo stesso progetto che aveva proposto a Snorri. Sturla dimostrò subito il suo animo aggressivo informando gli altri go?ar dell’intento del re e minacciò chi intendeva sottrarvisi. Gli altri clan non tardarono ad organizzarsi e a reagire ai propositi di Sturla. E’ in questo contesto che emerge un’altra figura chiave della guerra civile ovvero quella di Gissur Þorvaldsson. Questi era favorevole all’annessione dell’Islanda alla Norvegia, ma aveva ben chiaro che se fosse avvenuto sotto la custodia degli Sturlungar, ciò avrebbe significato la sottomissione degli altri clan. Þorvaldsson unì così la sua casata degli Haukdælir a quella degli Ásbirnings guidati da Kolbeinn il Giovane e con un esercito di 1200 persone si preparò alla resa dei conti con Sturla e Sighvatur. Questi riuscirono a radunare a loro volta un esercito di 1000 persone, lo scontro avvenne presso Örlygsstaðir (1238) e verrà ricordata come la più grande battaglia della storia d’Islanda. Ci furono 50 morti, a cui vanno aggiunte cinque esecuzioni per decapitazione decise per vecchie faide (i nomi di questi ultimi sono ricordati nella “Saga degli Sturlungs”), e gli stessi Sturla e Sighvatur perirono sul campo di battaglia.
L’esito della battaglia di Örlygsstaðir decretò Gissur e Kolbeinn come i nuovi go?ar predominanti. Nel 1241 la famiglia degli Sturlungar subì un ulteriore lutto, quello simbolicamente più pesante: anche Snorri, tornato quell’anno in Islanda, venne ucciso. L’ordine arrivò direttamente dalla Norvegia in quanto il celebre poeta si era schierato a favore della congiura, poi fallita, ordita contro re Haakon. Gissur radunò cinque suoi fedelissimi e li inviò dove si rifugiava Snorri. Nella “Saga degli Sturlungs” l’episodio viene riportato in tutta la sua tragedia:
“Dopo ciò essi scoprirono dove si nascondeva Snorri e questi entrarono quindi nella sua cantina: Markús Marðarson, Símon knútur, Árni beiskur (“il freddo”), Þorsteinn Guðinason, Þórarinn Ásgrímsson. Simon chiese ad Árni di ucciderlo. “Non dovresti trafiggermi tu?” disse Snorri. “Trafiggiti tu” gli disse Simon. “Non dovresti trafiggermi tu?” disse Snorri. A questo punto Árni gli sferrò un colpo mortale e dopo sia lui che Þorsteinn procurarono altre ferite al suo corpo ormai cadavere”.[6]
Neppure con la morte di Snorri gli Sturlungs sparirono dal campo di battaglia infatti appena un anno dopo apparse sulla scena un nuovo protagonista: Þórður Sighvatsson detto Kakali (“il balbuziente”). Fratello di Sturla e figlio di Sighvatur, fino a quel momento era vissuto in Norvegia e il suo ritorno era destinato a creare ulteriore scompiglio fra le carte dell’interminabile partita che si stava rivelando la guerra civile. Fra il 1242 e il 1244 girò l’isola in lungo e in largo per cercare alleati e allestire un esercito con cui sconfiggere coloro che avevano distrutto la sua famiglia. Radunate sufficienti truppe partì dal Vestfirðir (la penisola a forma di mano a nord-ovest dell’isola) per andare a reclamare le terre della sua famiglia nel nord del paese. Per accelerare i tempi fece imbarcare i suoi uomini su tante piccole golette e il caso volle che durante il tragitto si imbatté nella flotta di Kolbeinn “Il Giovane”, per altro maggiore della sua. Le due flotte si scontrarono presso Húnaflói in quella che sarà l’unica ed epica battaglia navale islandese, ricordata come Flóabardagi e tradotta curiosamente come “Guerra del Golfo”. L’arma principale consisteva in semplici pietre e altri oggetti che venivano scagliate da una nave all’altra, tuttavia ciò non impedì a Þórður di infliggere notevoli perdite fra le fila di Kolbeinn.
Kolbeinn morì l’anno successivo, suo figlio Brandur Kolbeinsson prese le redini della famiglia Ásbirningar e, come nel 1238, il suo clan decise di fare fronte comune insieme agli Haukdælir di Gissur Þorvaldsson. Questa volta però si trovarono ad affrontare un esercito organizzato da un brillante condottiero e quando vi fu la resa dei conti con la battaglia di Haugsnes (1246) Þórður non diede loro scampo. La battaglia di Haugsnes fu la più cruenta mai combattuta in Islanda, rimasero al suolo più di 110 guerrieri e fra questi anche Brandur Kolbeinsson. Il nuovo capitolo che si apre dopo questa battaglia vede sparire definitivamente dai protagonisti gli Ásbirningar e il destino dell’Islanda nelle mani di Þórður Sighvatsson.
Þórður Sighvatsson dominò incontrastato sull’Islanda per il triennio 1247-1250 ed evitò nuovi scontri con Gissur Þorvaldsson consapevole che avrebbero provocato le ire di re Haakon. Tuttavia proprio il re lo richiamò in Norvegia poiché preferiva avere sotto il suo diretto controllo la figura più importante di quel tumultuoso possedimento. Þórður vi rimase per sei anni e morì poco prima di esser rispedito in patria. Di tutti gli Sturlungar si era dimostrato il più pragmatico nonché un eccellente condottiero in grado di sconfiggere più volte in battaglia gli acerrimi nemici della sua famiglia. Dalla sua vendetta però era rimasto fuori Gissur Þorvaldsson che venne immediatamente scelto da Haakon per pacificare l’isola e portarla sotto il suo dominio.
Stava giungendo inesorabile il tramonto dell’era degli Sturlungar e dell’autonomia islandese. Molti degli uomini rimasti fedeli a Þórður non erano ancora pronti a dimenticare ed accettare il nuovo leader così tentarono un ultimo colpo di mano. Un gruppo di uomini guidati da Eyjólfur Þorsteinsson , genero di Sturla e nipote di Þórður, assaltarono ed incendiarono la residenza di Gissur il 22 di ottobre del 1253. Gissur si salvò per miracolo, ma nell’assalto perse moglie, figli ed alcuni dei suoi più preziosi collaboratori. Vennero fatti anche parecchi prigionieri e presto gli uomini di Eyjólfur si accorsero che fra questi vi era anche Árni “Il Freddo”, l’assassino di Snorri Sturluson. Prima di esser giustiziato dimostrò ancora una volta il suo ardore, secondo quanto riportato dalla “Saga degli Sturlungs”, apostrofando così i suoi avventori che lo accerchiarono mentre era steso per terra:
“Árni Il Freddo è qui davanti a voi e non chiede clemenza. Vedo anche che non lontano da me giace un’altra persona che spero di raggiungere presto”[7].
Steso vicino a lui infatti giaceva cadavere Hallur Gissurarson, uno dei figli di Gissur. Sull’isola continuarono gli scontri, ma quanto appena descritto fu l’ultimo atto significativo della guerra civile. Gissur non ebbe vita facile a pacificare l’isola e fu più volte ripreso da un deluso Haakon. Dopo più di quarant’anni dall’inizio dei contrasti nel 1264 si arrivò alla firma dell’accordo che sanciva la fine dell’autonomia islandese. Gissur Þorvaldsson era riuscito ad adempiere al suo compito e nella fase finale fu decisivo l’intervento di un emissario speciale, Hallvarður gullskór, inviato dalla Norvegia. Da quel momento gli islandesi avrebbero dovuto pagare tributi alla Norvegia ed in cambio avrebbero ricevuto un nuovo codice di leggi, garanzie per il mantenimento della pace sull’isola e l’apertura di nuovi canali commerciali. I cittadini norvegesi e islandesi avrebbero goduto eguali diritti nell’uno e nell’altro territorio. Era la fine di un’era di scontri epici e sanguinari e l’inizio di una nuova era che, sotto Norvegia prima e Danimarca poi, sarebbe durata fino al 1944.
L’importanza della “Saga degli Sturlungs”. Si tratta di un insieme di più saghe che narrano principalmente la storia del clan degli Sturlungs ed è stata scritta da più autori a cavallo fra il ‘200 e il ‘300. La storia inizia nel IX secolo narrando del capostipite Geirmundr Heljarskinn, uno dei tanti sovrani locali che scappò in Islanda per fuggire al crescente potere di Harald “Bellachioma”. Il tutto si conclude con la sottomissione dell’Islanda alla Norvegia nel 1264.
Gli inizi della saga hanno una preminenza di contorni epici e la parte strettamente storica inizia nel 1117 con la “Þorgils Saga ok Hafliða”. Il nocciolo più importante è racchiuso nell’ultimo libro della saga, l’ “Islendinga Saga” che copre il periodo 1183-1264 e di cui autore è Sturla Þórðarson. L’epilogo della saga non poteva esser vergato da persona più azzeccata: Sturla è infatti figlio di Þórður Sturluson, il fratello di Snorri, e allievo prediletto del celebre zio da cui apprende l’arte dello “saga-writer”. Gli storici concordano sull’accuratezza e la franchezza con cui Sturla descrive questo delicato periodo storico di cui è lui stesso protagonista. Egli aveva combattuto al fianco di suo cugino Þórður Sighvatsson e, come Giulio Cesare, quando si cita all’interno del racconto parla di se stesso in terza persona.
L’imparzialità con cui descrive l’Islanda della guerra civile fa della sua opera un’affidabile punto di riferimento per chiunque sia interessato alla storia dell’isola di quel periodo. Quanto scritto sopra è per la maggiore dedotto dalle sue pagine. E’ la storia di una famiglia di guerrieri e di poeti che si batte per il dominio sull’isola, che probabilmente non vede di buon occhio le ingerenze dei re norvegesi e che ci consegna sulle pagine della storia la propria drammatica vicenda.
Statua di Snorri Sturluson a Reykjavik
Dal Trattato di Gissur all’Unione di Kalmar (1262-1397). Con il Trattato di Gissur (Gissurarsáttmáli), nel 1262 si chiuse la parentesi dell’autonomia della colonia islandese che era durata per ben tre secoli. Si chiuse pure l’escalation di violenza che aveva portato alla guerra civile, anche se la pacificazione completa dell’isola non fu immediata e negli anni successivi non mancarono i regolamenti di conti. Con questo trattato i vari goðar si impegnarono ad esser fedeli alla corona norvegese, rimarcando una tendenza dell’epoca che vedeva il rafforzamento delle monarchie feudali mediante l’annessione dei feudi circostanti.
Questa centralizzazione tuttavia non venne accolta con particolare fervore né dalla popolazione né dall’aristocrazia. Questi accettarono la sovranità norvegese con riluttanza nonostante questa fosse stata raggiunta per vie diplomatiche e senza colpo ferire da parte dell’esercito norvegese. Le nuove leggi (che verranno approfondite in seguito) promosse dall’iniziativa legislativa di Magnus IV, detto appunto “Il Legislatore”, miravano a normalizzare il clima di astio che regnava da decenni sull’isola. Indirettamente contribuirono alla limitazione del potere dei vari clan e l’accrescimento di quello del clero locale.
Questi sviluppi non portarono ad una riduzione della stratificazione sociale anche se il declino delle famiglie più importanti contribuì alla formazione di un’aristocrazia locale più eterogenea. Il cambiamento più significativo però fu quello comportato dalla nuova classe ecclesiastica. All’interno dei propri feudi (che crebbero notevolmente dalla seconda metà del XIII secolo in poi) i ministri della chiesa provvedevano all’amministrazione, dettavano legge, erano i beneficiari delle donazioni dei fedeli e delle risorse che ivi venivano prodotte. In breve tempo divennero le persone più influenti del paese.[8]
Il regno di Magnus IV e la fine della dinastia dei Bellachioma. Un anno dopo la firma del Trattato di Gissur Haakon IV morì in una battaglia contro gli scozzesi per il controllo delle isole Ebridi. Egli si era distinto per aver sottratto la Norvegia dalla guerra civile che era durata dal 1130 al 1217. A lui succedette Magnus IV il quale è riconosciuto per aver governato “più con la legge che con la spada”. Sul piano della politica internazionale infatti trovò un accordo con gli scozzesi per la cessione delle isole Ebridi e dell’isola di Man in cambio di un’ingente quantità di argento. Allo stesso tempo intrattenne buone relazioni con la corona inglese e soprattutto con quella svedese: per la prima volta vennero infatti definiti i confini fra i due regni. Defilando il suo regno da eventuali conflitti riuscì a concentrarsi sulla politica interna del suo paese che, come si vedrà in seguito, sottopose ad una fitta riforma legislativa. Il suo regno si interruppe bruscamente nel 1280 quando si ammalò e morì nel giro di poche settimane.
Con la morte di Magnus IV, sparisce dalla scena uno degli ultimi rappresentanti più carismatici della dinastia dei Bellachioma. Gli succedettero entrambi i figli, Eirik dal 1280 al 1299 e Haakon V dal 1299 al 1319. Essi si schierarono entrambi nelle guerre intestine al Regno di Danimarca che vedevano contrapporsi il re a Stig Andersen Hvide, un ex ministro. Quest’ultimo per cercare di rovesciare il sovrano danese si diede ad atti di pirateria nella zona del Kattegat (la fascia di mare fra Danimarca e Svezia) e fu sostenuto appunto prima da Eirik e poi da Haakon V per interessi legati alla discendenza dei sovrani danesi. Questi contrasti finirono nel 1309 e Haakon V si dedicò soprattutto a rinforzare la sua posizione di re nei confronti della nobiltà norvegese, da sempre tumultuosa e divisa in fazioni.
Alla sua morte nel 1319 l’erede designato, suo nipote Magnus, aveva solo tre anni e così la reggenza passò nelle mani di un potente nobile locale, Erling Vidkunsson. Questi di fatto regnò incontrastato in Norvegia per lungo tempo poiché Magnus era stato scelto anche come re di Svezia e si era preoccupato maggiormente del trono svedese anche quando ebbe raggiunto la maggiore età. Sul trono di Norvegia tornò ufficialmente un re nel 1343 quando Magnus scelse suo figlio Haakon, anche questi aveva solo tre anni quando venne nominato, ma poi con l’appellativo di Haakon VI regnò fino alla sua morte nel 1380. Si occupò anch’egli degli affari interni norvegesi, ma fu coinvolto negli scontri contro suo cugino Alberto III di Meclemburgo che aveva estromesso suo papà dal trono svedese. Reclamò invano il trono, però grazie al suo matrimonio con Margherita la figlia del re di Danimarca, il suo figlio e successore Olav IV Haakonsson divenne anche re di Danimarca. Questo e altri precedenti matrimoni di interesse costituirono le basi per l’Unione di Kalmar del 1397.
Come si può notare, l’Islanda ha un ruolo del tutto marginale in questo frangente storico. In questo periodo è considerata una mera provincia del Regno di Norvegia e il motivo per cui si distingueva era il florido panorama artistico che offriva. Con la morte di Sturla Þórðarson nel 1284 finisce l’era delle grandi saghe islandesi, tuttavia gli scaldi islandesi continuarono ad esser molto apprezzati alla corte del Re. Anche l’arte visiva iniziò a svilupparsi in maniera originale nell’isola, mescolando elementi della tradizione vichinga con quelli provenienti dal continente.
Il suo benessere aumentò leggermente in seguito all’occupazione norvegese, principalmente per il perfezionamento negli spostamenti marittimi e l’avvio della pesca allo stoccafisso che abbondava nel mare circostante. Tuttavia la Norvegia deteneva il monopolio del commercio con l’Islanda impedendole di avere contatti con i mercanti di altri paesi. La pesca stessa era molto difficile perché effettuata con strumenti quasi primitivi; nonostante questo molti abitanti delle zone rurali durante l’inverno si stabilivano sulle coste proprio per imbarcarsi sui pescherecci. Nel corso del XIV secolo gli islandesi dovettero far fronte alle eruzioni del vulcano Hekla che nel 1300, nel 1341 e nel 1389 flagellarono la parte sud-occidentale dell’isola.
Il dominio danese e la Riforma Protestante (1397-1662). Nel 1397 Margherita I di Danimarca riunì sotto la stessa corona i regni di Svezia, Norvegia e Danimarca. Si trattò di un’unione politica singolare in quanto gli stati condividevano lo stesso monarca ma mantenevano la propria indipendenza. Ogni regno manteneva le proprie leggi e le proprie istituzioni, mentre al monarca spettava l’iniziativa sulla politica estera. Margherita era riuscita ad unificare le tre corone avendo ereditato sia il regno di Danimarca (dal padre) sia quello di Norvegia (dal marito) e sconfiggendo in battaglia Alberto di Meclemburgo che sedeva sul trono svedese. In questa occasione fu decisivo il ruolo della Lega Anseatica, una potentissima lobby commerciale del mar Baltico. Gli Anseatici inizialmente sostennero Alberto, tedesco, e quindi più propenso a tutelare gli interessi commerciali della Lega. Dopo che l’esercito di Margherita riuscì a catturare Alberto la Lega teneva in scacco Stoccolma, ma quando Alberto non riuscì a sostenere il costo del proprio riscatto gli Anseatici cedettero la città (e il regno) alla sovrana danese in cambio di garanzie commerciali.
Un’altra mossa di Margherita fu quella di nominare suo successore il nipote Eric di Pomerania in quanto imparentato con tutte le vecchie dinastie dei tre regni. Lei si riservò il ruolo di reggente ma di fatto continuò ad esercitare il suo diretto controllo sull’Unione. In politica estera mantenne una linea neutrale evitando di coinvolgere l’Unione in pericolosi conflitti. Inoltre operò importanti operazioni volte a rimpolpare le casse del regno danese recuperando terre che erano state sottratte alla corona durante scontri precedenti e convertendo le correnti monete di rame prive di valore con monete d’argento.
Alla sua morte improvvisa nel 1412 Eric di Pomerania prese a tutti gli effetti le redini dell’Unione. Andando in controtendenza con quanto fatto da Margherita riprese le ostilità con i territori circostanti, in particolare per annettere lo Jutland Meridionale. L’esito della guerra fu a lui sfavorevole e iniziò a creare le prime frizioni fra l’Unione e la Svezia che aveva forti interessi in quelle zone. Il 1430 fu un anno catastrofico per Eric poiché in Svezia iniziò una violenta ribellione sociale di contadini e minatori, i danesi vennero espulsi dal regno e quando pure i nobili danesi iniziarono a rivoltarglisi contro decise di abbandonare il trono.
Con l’allontanamento di Eric di Pomerania iniziò una lunga serie di conflitti fra Danimarca e Svezia le cui casate si contendevano il primato dell’Unione, mentre la Norvegia rimase ai margini degli scontri. L’epilogo si ebbe negli anni ’20 del XVI secolo dopo un’escalation di violenza fra i due regni. Nel 1520 infatti Cristiano II di Danimarca riuscì a conquistare la Svezia, in seguito alla sua incoronazione seguirono tre giorni di banchetti fin quando il 7 novembre fece convocare molti leader svedesi per una riunione improvvisa. L’8 novembre questi furono arrestati di sorpresa e molti di questi furono giustiziati nei due giorni seguenti con l’accusa di eresia. Perirono in questo modo nobili, consiglieri, borgomastri e anche due vescovi. La scelta delle vittime non fu casuale, molti di questi erano i rappresentanti più autorevoli della fazione contraria alla permanenza della Svezia nell’Unione e vere e proprie liste di proscrizione erano state stilate dall’arcivescovo svedese Gustavus Trolle che invece era fedele alla corona danese.
Con questo atto cruento Cristiano II si era illuso di estendere definitivamente il suo giogo sulla Svezia, in realtà fu il principio della fine dell’Unione e del suo regno. La notizia del “bagno di sangue” si diffuse velocemente nel paese che precipitò nel caos, presto si organizzò un esercito di liberazione sotto la guida del Nobile Gustav Vasa e nel giro di due anni (dal 1521 al 1523) la Svezia fu liberata. L’1 settembre 1524 con il Trattato di Malmö la Svezia uscì ufficialmente dall’Unione di Kalmar decretandone quindi la fine. In Svezia fu eletto re Gustav Vasa che regnò con il nome di Gustavo I di Svezia; in Danimarca salì al trono Federico I e la Norvegia con i suoi relativi possedimenti (Groenlandia, Islanda e Isole Fær Øer) passarono sotto il diretto controllo della corona danese.
Anche in questo periodo l’Islanda rimase coinvolta passivamente nei vari passaggi storici che caratterizzano la Scandinavia di quel periodo. Fra il 1402 e il 1404 un’epidemia di peste colpì l’isola dimezzando la popolazione e questo evento si ripeté alla fine del secolo fra il 1494 e il 1495 causando l’isolamento con la madrepatria. Di questa situazione approfittarono gli inglesi che fin dall’inizio del XV secolo iniziarono ad allacciare contatti con l’isola. Essendo la nuova amministrazione danese parecchio inefficiente, il controllo inglese sull’isola si allargò notevolmente tanto da mettere il re d’Inghilterra nella posizione ideale per subentrare ai danesi nel controllo dell’isola. Questo non avvenne poiché i regnanti inglesi non volevano deteriorare i rapporti con la corona danese ed inoltre la situazione mutò radicalmente nella seconda metà del secolo con lo sbarco sulle coste islandesi della Lega Anseatica.[9]
Come ricordato in precedenza la Lega Anseatica era una lobby commerciale potentissima che operava soprattutto nel mar Baltico e gestendo i traffici fra Russia, Scandinavia, Polonia e Germania fin dal tardo medioevo. La Lega possedeva scali propri in molti porti dell’Atlantico e del Baltico e la sua influenza era così notevole che riusciva a trattare direttamente ed influenzare la politica delle case regnanti del nord Europa. La sua potenza era invisa alla nobiltà sua contemporanea e ciò, con l’avvento della Riforma Protestante, l’ascesa dei commercianti olandesi e fiamminghi e le lotte intestine che la attanagliavano, ne decreto l’implosione verso la fine del XVII secolo. Tuttavia il suo avvento in Islanda permise al re danese di avvantaggiarsi della rivalità fra i commercianti della Lega e quelli inglesi per consolidare la sua amministrazione dell’isola.
La Riforma Protestante. Con l’avvento del Luteranesimo nella prima metà del XVI secolo si ebbe un risveglio dell’identità islandese in contrapposizione al monarca danese che voleva imporre il nuovo credo. Sul trono danese sedeva infatti Cristiano III il quale, prima di essere incoronato re di Danimarca (1533), aveva viaggiato a lungo per la Germania e non aveva mai fatto mistero della sua simpatia per il movimento portato avanti da Lutero. Con la sua ascesa al trono, in patria incontrò la forte opposizione dei potentati locali di fede cattolica e dello stesso consiglio di stato, anch’esso di maggioranza cattolica. Cristiano III risolse questi contrasti soffocandoli nel sangue con un colpo di stato nell’agosto del 1536 grazie all’intervento di truppe mercenarie tedesche. Confiscò le proprietà dei vescovi danesi ed estese l’ordinanza di conversione anche all’Islanda.
Iniziò ad inviare sull’isola dei suoi ufficiali col compito di prendere il controllo dei monasteri, ma questi venivano attaccati e uccisi. A guidare la rivolta c’era il carismatico vescovo di Hólar Jón Arason, un abile diplomatico e padre di numerosi figli nonostante ciò fosse vietato dai dettami della Chiesa di Roma. Inizialmente la sua fu una posizione difensiva nei confronti delle truppe danesi, ma quando la pressione danese aumentò il suo atteggiamento cambiò radicalmente e nel 1548 unì le sue forze a quelle del vescovo Ögmundur di Skálholt. Il supporto dell’altro vescovo islandese tuttavia non fu consistente. Questi, ormai anziano e cieco, abbandonò presto la battaglia e fu costretto all’esilio in Danimarca. Jón Arason non si perse d’animo e cercò di fomentare un primitivo sentimento nazionalista facendo leva sull’offesa che i danesi arrecavano occupando le terre e sulla perdita culturale che avrebbe portato la Riforma. Lo stesso papa Paolo III gli scrisse per incoraggiarlo a resistere contro i luterani, probabilmente ignorando che la battaglia che Arason portava avanti aveva altri connotati oltre quello religioso.
Gli scontri che si svilupparono sull’isola furono notevoli tanto da richiamare il clima della guerra civile, sull’isola infatti era presente anche una fazione filo-danese guidata da Daði Gudmundsson. La volontà e il fervore di Jón Arason fu sostenuto anche dai suoi figli illegittimi che lo seguirono in molte battaglie. La loro rivolta si interruppe bruscamente nel 1550 quando caddero in un tranello nel tentativo di catturare il capo della fazione rivale. Arason fu portato dal boia danese insieme a due dei suoi figli con i quali venne decapitato. Il credo luterano fu così imposto all’Islanda, ma la tragica fine del vescovo fece di lui un eroe e il simbolo della lotta contro l’imperialismo danese.
Il conflitto e il suo epilogo spinsero il re danese a dispiegare il suo esercito sull’isola che, per la prima volta nella sua storia, fu occupata da armate straniere. Agli islandesi fu vietato di portare armi e la schiacciante vittoria militare impedì il formarsi di una resistenza locale. Il re acquisì le proprietà ed i beni del clero locale cosicché circa metà dell’isola finì in suo possesso. I possedimenti delle altre terre erano ancora nelle mani delle famiglie benestanti, ma il loro numero era notevolmente ridotto. Inoltre spesso si tende a dimenticare come la “caccia alle streghe” che imperversava sul continente e portata avanti sia dai tribunali della Chiesa di Roma che da quelli protestanti, in Islanda veniva utilizzata come strumento politico. L’Islanda infatti fu uno dei pochi paesi dove la maggior parte delle persone che vennero mandate al rogo era di sesso maschile.
Contemporaneamente alla Riforma Protestante ci fu anche un forte cambiamento culturale. Per celebrare la messa si optò per il danese (così come veniva fatto anche in Norvegia e nelle Fær Øer). Questo in generale comportò una modifica della lingua scritta (e probabilmente anche di quella parlata) che era stata sottoposta all’influenza di quelle scandinave e tedesche. La scrittura di saghe era da lungo tempo in decadenza ed era stata soppiantata dalla composizione di dansar ovvero liriche con cui accompagnare la danza. Alcune venivano tradotte dal norvegese e dal danese, altre erano di matrice islandese. Alcune ballate venivano anche composte in maniera più letteraria, venivano chiamate rímur e la loro tradizione si estese dal XV al XIX secolo. La peculiarità delle rímur islandesi era la ripresa del vocabolario che veniva usato nella poesia scaldica e anche le tematiche epiche spesso erano ricche di soggetti appartenenti alle saghe islandesi. Si iniziarono anche a stampare i primi testi grazie alla prima pressa che era stata importata proprio da Jón Arason intorno al 1540. Per ben due secoli fu l’unica stampante sull’isola e inizialmente fu utilizzata dal vescovo di Hólar, Guðbrandur Þorláksson. Questi, oltre che uomo di fede, era anche un uomo di cultura e appassionato di cartografia. Utilizzando la pressa di Arason stampò la prima bibbia in islandese oltreché il codice delle leggi e numerosi altri volumi.
Un’ulteriore e importante revisione apportata dai danesi sull’isola fu la disciplina del commercio. Come era successo in precedenza sotto la corona norvegese, anche il re danese decise di ripristinare gradualmente il monopolio. Per prima cosa venne istituita una tassa verso chi veleggiava verso l’Islanda e in seguito iniziò anche a vendere delle apposite licenze per poter commerciare con l’isola. Ovviamente ai commercianti danesi erano riconosciute delle agevolazioni, i mercanti tedeschi iniziarono ad abbandonare l’Islanda e così intorno al 1600 il commercio era interamente in mano danese. Alle compagnie che ottenevano le licenze erano affidati dei singoli scali e in generale questo monopolio era in linea con l’idea di favorire la crescente classe capitalista del paese. Inoltre, nonostante il controllo e la regolazione dei prezzi, l’assenza di competizione con commercianti di altre nazioni non giovò affatto agli islandesi che poche ricchezze traevano da qualsiasi tipo di commercio.
La definitiva sottomissione dell’Islanda alla corona danese fu sancita nel 1662 con l’assemblea tenutasi a Kópavogur dove il vescovo Brynjólfur Sveinsson e il legislatore Árni Oddsson firmarono il documento che abrogava il Trattato di Gissur del 1262. La sottoscrizione del nuovo trattato non avvenne in un clima sereno. Sia Sveinsson che Oddsson erano consapevoli delle conseguenze politiche che implicava e l’atto della firma ebbe luogo in presenza dei soldati del re i quali avevano un ruolo prettamente intimidatorio. Di fatto l’Islanda non godeva più di pari diritti politici nei confronti della Danimarca.
Le grandi catastrofi e l’assolutismo illuminato (1662-1815). Il XVII e il XVIII secolo furono dei momenti estremamente critici per gli islandesi, essi si trovarono a fronteggiare una molteplicità di catastrofi naturali e non.[10] Documentandosi su cosa è accorso in questi anni è difficile trovare ulteriori disgrazie che non si erano ancora verificate.
Fra il 4 e il 19 luglio del 1627 una flotta di pirati attaccò ripetutamente le coste dell’Austurland (costa est dell’Islanda), la baia di Reykjavik e l’arcipelago del Vestmannaeyjar (costa sud occidentale). Questi erano guidati da un avventuriero e pirata olandese convertito all’Islam di nome Jan Janszoon. I pirati furono guidati fino all’isola da un membro danese dell’equipaggio (composto da persone di differenti nazionalità, in maggioranza provenienti dall’Africa settentrionale) con l’obiettivo di rubare del pesce salato e delle pelli. Le incursioni però si trasformarono in una razzia che rimase scolpita negli annali islandesi con il nome di Tyrkjaránið (“rapimenti dei turchi”). Furono rapite circa quattrocento persone, chiunque oppose resistenza fu trucidato e durante una loro sortita rinchiusero le persone più anziane in una chiesa e le diedero fuoco.
In Islanda è tuttora molto popolare la storia di Guðríður Símonardóttir, una fra le donne che venne rapita durante questa razzia. Come tutti coloro che erano stati rapiti fu venduta come schiava e concubina in Algeria, ma lei fu fra le poche persone ad esser riscattata dal re danese Cristiano IV. Riuscì a ritornare sull’isola circa una decade dopo il suo rapimento, ma fu mandata in Danimarca con altri ex schiavi per apprendere nuovamente la propria lingua madre e la religione. Qui conobbe Hallgrímur Pétursson il quale, oltre ad essere un pastore protestante, era uno dei poeti islandesi più famosi del suo periodo. Dopo esser rimasta incinta di lui tornarono insieme in Islanda dove si sposarono, ma il fatto che Guðríður fosse più anziana di Hallgrímur di ben sedici anni non le rese la vita facile.
Tornando alle catastrofi che attanagliarono l’Islanda in questo periodo merita menzione la notevole serie di eruzioni che si verificò nel ‘600 e nel ‘700. Come ricordato nell’introduzione l’Islanda si trova a cavallo fra la dorsale nord americana e quella eurasiatica, lo sfregamento di queste ha provocato un’intensa attività vulcanica in quel periodo. L’Hekla eruttò per ben quattro volte di cui una volta per sette mesi di fila (1693) e un’altra per più di due anni (1736-1738). Si contano anche le eruzioni dell’ Öræfi nel 1727, del Katla (uno dei più temibili vulcani al mondo) e soprattutto quella disastrosa del Laki nel 1785.
Le conseguenze di queste eruzioni erano tremende non tanto per la distruzione che provocarono nelle zone circostanti, ma per gli effetti devastanti che avevano sui raccolti, sul bestiame e anche sulla pesca dei pesci di acqua dolce. Provocavano quindi disagi all’agricoltura e all’allevamento che spesso si traducevano in lunghe carestie. Un’altra conseguenza delle eruzioni era il fenomeno del jökulhlaup ovvero le devastanti alluvioni che erano dovute al repentino scioglimento dei ghiacciai dei vulcani.
Tuttavia l’eruzione del Laki del 1783 fu così terrificante che le ripercussioni si ebbero non solo in Islanda, ma anche in buona parte dell’Europa. Il contatto fra il magma e l’acqua del sottosuolo aprì una faglia con circa centotrenta crateri. Questi eruttarono 14 km3 di lava, le fontane di lava raggiunsero un’altezza compresa fra gli 800 m e i 1400 m e la nube di polveri e gas si innalzò fino a 15 km di altezza. Tuttavia l’effetto peggiore che produsse fu un’enorme nube di diossido di zolfo. Questa nube era così estesa che scompensò il clima dei due anni seguenti portando un estate caldissima e un inverno molto rigido in tutta Europa, si pensa che influì anche sui monsoni indiani (che furono più deboli) e sulla portata del Nilo (che si ridusse notevolmente). La nube fu portata dai venti verso sud est giungendo in Norvegia e poi estendendosi su tutto il continente da Praga a Parigi passando per la Gran Bretagna. Come si può ben immaginare le conseguenze per l’Islanda furono tragiche: la popolazione si ridusse di un quarto e il bestiame si dimezzò, molte persone morirono intossicate ma la maggior parte perì in seguito alla grave carestia che ne seguì.
Essendo l’Islanda una terra di contrasti, la furia del fuoco dei vulcani venne combinata al freddo portato da quella che gli studiosi chiamano Piccola Era Glaciale. Questo periodo è compreso fra il XIV e il XIX, ma è fra il 1650 e il 1850 che si ha il suo massimo riscontro. Vista la latitudine dell’isola questo periodo di gelo si manifestò in maniera abbastanza feroce tanto che in alcuni momenti dell’anno l’isola era completamente circondata dai ghiacci e di fatto isolandola dal resto del continente. La Danimarca cessò i commerci sia con l’Islanda sia con la Groenlandia, dimenticandosi quasi dei propri possedimenti. Il clima fu così rigido che quando i danesi nel 1722 tornarono in Groenlandia la trovarono disabitata, nessuna delle vecchie colonie era sopravissuta. In Islanda invece nel 1703 si tenne il primo censimento che contò circa 50.300 abitanti ovvero poco più delle persone che si supponeva abitassero l’isola circa un secolo dopo l’inizio della colonizzazione. Il freddo, il disastro portato dall’eruzione del Laki e l’epidemia di vaiolo che flagellò l’Europa e anche l’isola nel corso del XVIII secolo fecero calare ulteriormente la popolazione a 40.600 abitanti nel 1785 ovvero il dato più basso mai registrato nei censimenti effettuati dal 1703 in poi.
Il vulcano Hekla (1488m) coperto dai ghiacci
La maggior parte della popolazione viveva ancora in campagna nelle proprie fattorie, ancora non esistevano veri e propri villaggi, ma solo semplici assembramenti temporanei che si formavano durante la stagione della pesca. Tuttavia in una società dall’apparenza rurale si stava formando un’identità precisa. Anche gli studiosi danesi e svedesi stavano scoprendo ciò che si annidava in questo sperduto angolo del regno di Danimarca. Nell’isola era sita una cultura ben definita e senza eguali, che si era prestata a fare la guardia all’eredità della cultura norrena.
Dalle riforme danesi al colpo di stato di Jørgen Jørgensen. Il XVIII secolo per l’Islanda è un periodo di passaggio. Nel momento in cui gli islandesi si trovarono a far fronte alla serie di catastrofi di cui si è prima parlato, la Danimarca iniziò una serie di riforme sul piano dell’educazione scolastica, della burocrazia e anche del commercio. Sull’isola non erano ancora presenti né scuole elementari né figure professionali che potessero fungere da insegnanti. L’insegnamento era ancora affidato al clero locale che girava le fattorie, tuttavia l’afflusso di testi stampati iniziò a facilitare l’educazione dei giovani isolani. Lo stesso livello di preparazione del clero era notevolmente migliorato ed un sempre maggior numero di studenti islandesi frequentava l’Università di Copenhagen, la quale formava la nuova classe amministrativa del paese.
Di pari passo infatti la struttura della burocrazia danese si sviluppò e si radicò maggiormente in tutto il regno. L’ideale, influenzato dal mercantilismo e dall’illuminismo del tempo, era di sviluppare un governo dei vari possedimenti di tipo paternalistico che avrebbe portato maggiore ricchezza. Ciò ebbe ripercussioni anche sul piano economico e dei commerci infatti l’amministrazione dell’isola si impegnò per ricevere maggiori contributi ed abolire il monopolio commerciale, cosa che avvenne nel 1787.
In seguito alle catastrofi accorse in quegli anni la colonia islandese sembrava quasi sul punto di dover soccombere invece, grazie anche a questa ondata di riforme iniziò un periodo di ripresa. Il motore però era sempre la filosofia illuminata che prevaleva in Danimarca in quei tempi. Altre iniziative significative furono l’unione delle due diocesi di Skálholt e Hólar nella singola diocesi di Reykjavik. Proprio Reykjavik fu il primo centro islandese che si poté iniziare a definire come città, in poco tempo era diventato anche la sede dell’amministrazione. Ivi furono trasferite anche le nuove istituzioni giuridiche e ciò significò la chiusura dell’Alþingi a Þingvellir che ne era stato la sede dal 930 fino al 1799.
Sebbene queste riforme costituissero una novità notevole, non sortirono immediatamente grandi vantaggi per l’isola. Ad esempio la revoca del monopolio non portò grandi stimoli all’economia islandese in quanto la libertà di commercio era ancora molto limitata. Inoltre il destino dell’Islanda era sempre legato a doppia mandata a quello della Danimarca la quale, all’inizio del 1800 attraversò una congiuntura storica decisamente sfavorevole.
Il Regno di Danimarca-Norvegia optò per mantenere una neutralità armata nei confronti della guerra che era in atto fra la Gran Bretagna e le armate napoleoniche. Le continue vittorie di quest’ultimo e la paura che, se la Danimarca fosse entrata in guerra, la Gran Bretagna si sarebbe trovata fra due fuochi spinsero gli inglesi ad un’azione intimidatoria nei confronti dei danesi. Non solo, buona parte dei rifornimenti per Napoleone arrivavano proprio dai paesi scandinavi, motivo per cui lo schieramento della Danimarca diventava decisivo. Il 2 aprile 1801, dopo inutili trattative diplomatiche, la flotta britannica si schierò davanti al porto di Copenhagen per quella che doveva essere una semplice dimostrazione di forza. Dopo alcune scaramucce però l’ammiraglio Horatio Nelson prese l’iniziativa, sbaragliò la flotta danese e cannoneggiò la città offrendo poi la resa agli avversari.
Questo fu solo il primo atto dei contrasti fra le due potenze, infatti seguì un secondo attacco alla capitale danese nell’agosto 1807. Anche in questa circostanza gli inglesi temevano le mire della Francia sulla Danimarca, il cui schieramento era decisivo sia per i traffici inglesi nel mar Baltico sia per i contatti con gli alleati svedesi. Dopo che la Danimarca si rifiutò di stringere alleanza con la Gran Bretagna, questa decise di distruggerle la flotta per impedire che finisse nelle mani di Napoleone. Le forze del Duca di Wellington sbaragliarono in breve tempo quelle danesi e circondarono Copenhagen. Dopo che i danesi rifiutarono la resa la flotta inglese bombardò la città per tre giorni di fila impossessandosi di tutta la flotta nemica.
Da questo momento per la Danimarca fu molto più difficile controllare i traffici con l’Islanda la quale a sua volta pagò con un crollo delle importazioni. L’isola rimaneva così pressoché indifesa e alla mercé degli inglesi i quali, per la seconda volta nella storia, evitarono di sottomettere l’Islanda al proprio dominio onde evitare ulteriori attriti con la corona danese. Non solo, si occuparono anche di minare un colpo di stato che era riuscito ad un avventuriero danese di nome Jørgen Jørgensen. Questi era sbarcato in Islanda con una nave mercantile inglese e, dopo che gli fu impedito di fare affari a causa del conflitto in atto fra Gran Bretagna e Danimarca, decise di arrestare il governatore danese dell’isola con l’aiuto dell’equipaggio autonominandosi “Protettore”. Dichiarò l’indipendenza dell’Islanda e promise di riaprire l’Alþingi per permettere agli islandesi di governarsi autonomamente. La sua idea era quella di dar vita ad una società liberale secondo i venti rivoluzionari che stavano spirando in quel periodo. Tuttavia la sua iniziativa durò solo due mesi dopodiché fu arrestato dagli inglesi.[11]
Con il Trattato di Kiel, stipulato il 14 gennaio 1814, la Svezia che era uscita dalle guerre napoleoniche sul carro del vincitore riuscì ad ottenere la Norvegia da parte della Danimarca che invece faceva parte degli sconfitti. In Norvegia ci fu un tentativo per ottenere l’indipendenza (sostenuto clandestinamente dalla Danimarca), ma la Svezia riuscì a spuntarla imponendo il proprio sovrano. Durante la stesura del trattato gli ex possedimenti della Norvegia non vennero comprese nell’accordo, ragion per cui l’Islanda continuò a restare sotto la corona danese.
Federico VI di Danimarca, re dal 1808 al 1839
Il cammino verso l’indipendenza e le due guerre (1815-1944). La prima metà del XIX secolo vide in Europa l’affermarsi del romanticismo, dei movimenti liberali e l’ascesa dei nazionalismi. Lo stato nazionale era visto come l’unica vera forma di forum per la politica e il governo. Anche la Danimarca fu inclusa in questo processo, ma agli islandesi riusciva difficile identificarsi con il nazionalismo danese. Uno sparuto gruppo di intellettuali iniziò a fomentare la convinzione che l’Islanda doveva godere di una propria autonomia e di proprie istituzioni.
Il primo passo verso il costituzionalismo danese fu la creazione di istanze elettive che fungessero da corpo consultivo. In un primo momento agli islandesi erano stati attribuiti alcuni seggi all’interno dell’assemblea danese, tuttavia nel 1845 si decise di riaprire l’Alþingi e di situarlo a Reykjavik. Anche se ci furono dei reclami affinché fosse ripristinata l’assemblea che si riuniva a Þingvellir, questo passo costituì la pietra miliare verso un governo autonomo e democratico dell’Islanda. Questa concessione da parte dei danesi può essere letta in due modi. In primo luogo, i danesi ritenevano più conveniente discutere dei propri affari interni senza dover interagire con rappresentanti islandesi. In secondo luogo, in Danimarca si aveva un romantico rispetto della secolare cultura islandese e non a torto l’isola era ritenuta il gioiello appuntato sulla corona del regno.
Ben presto la voce dell’autonomia islandese venne identificata in un giovane storico e filologo di nome Jón Sigurðsson. Nel 1848 in Danimarca con la Grundlov si abolì l’assolutismo e si introdusse un nuovo sistema bicamerale limitando notevolmente i poteri del re. Tuttavia Sigurðsson si opponeva all’estensione della nuova legge all’Islanda perché puntava su un altro principio che raccolse subito molto entusiasmo nel suo paese: l’abolizione del Trattato di Kópavogur del 1662 e il ripristino del trattato di Gissur. Di fatto significava il riconoscimento del legame con la corona danese, ma non con il popolo danese e quindi il riconoscimento di un’entità islandese a sé stante. Nello stesso tempo formulò delle idee per costituire una base istituzionale islandese in modo da limitare il controllo danese, ma durante l’assemblea costituzionale (Þjóðfundur) tenutasi in Islanda nel 1851 le sue posizioni furono fortemente osteggiate dai rappresentanti danesi che erano disposti a concedere solo un’autonomia molto limitata.
Questo fu l’inizio della “battaglia per l’indipendenza” (così definita dagli islandesi), ma che tuttavia non prevedeva nessuna forma di violenza e disubbidienza civile. I contrasti politici fra Islanda e Danimarca furono molto sostanziosi e provocarono lo slittamento di molte riforme. Nonostante questo nel 1855 cadde definitivamente il monopolio danese e l’Islanda era libera di poter commerciare con tutti gli altri paesi. Nel 1857 venne anche adottata la legge che disciplinava l’elezione dei rappresentanti islandesi. Un importante compromesso si raggiunse nel 1874 quando, nella ricorrenza del millennio della colonizzazione dell’isola, il re danese concesse come “regalo personale” una costituzione scritta e maggiore autonomia. Il controllo su alcune materie tornava nelle mani dell’Alþingi, tuttavia il controllo sugli affari interni restava nelle mani di un ministero danese che poteva esercitare il potere di veto. Un successo che venne ottenuto nel 1901 fu quello di trasferire il ministero che si occupava degli affari islandesi da Copenhagen all’isola.
Alcune riforme avvennero di pari passo con ciò che avveniva in Danimarca dove il Rigsdag andava sempre più limitando il potere regio. Quando il re accettò il principio della legge parlamentare e delegò il partito di maggioranza a formare un governo, ciò ebbe da applicarsi alla stessa Islanda. La scelta del ministro degli affari islandesi spettava così all’Alþingi e nel 1904 Hannes Hafstein, politico e poeta, divenne il primo Primo Ministro Islandese. I passi da compiere per ultimare il cammino verso l’indipendenza erano sempre meno e anche sul piano economico l’Islanda stava raggiungendo una propria autonomia. La rivoluzione industriale unita alla fine del monopolio danese avevano contribuito ad uno sviluppo economico notevole dell’isola che si basava soprattutto sull’esportazione dei prodotti derivanti dalla pesca e dall’allevamento di ovini.
Con l’avvento della Grande Guerra l’Islanda cadde nuovamente sotto l’influenza britannica anche grazie all’inconsistenza militare danese che infatti si era dichiarata neutrale. Gli inglesi avevano interesse per le esportazioni islandesi e la peculiarità di questo rapporto è che trattavano direttamente con le autorità islandesi bypassando quelle danesi. Con i negoziati del 1918 la Danimarca riconosce la sovranità islandese sull’isola e l’accordo che venne stilato prevedeva la possibilità di terminare il rapporto con la corona danese dopo 25 anni dalla firma dello stesso, previo referendum (che doveva raggiungere un quorum ed ottenere una maggioranza qualificata molto elevati).
Con l’avvento degli anni ’20 vi fu un ulteriore sviluppo della flotta di pescherecci a discapito dell’industria, l’agricoltura occupava ancora una parte rilevante dell’economia e teneva banco l’introduzione della corona islandese (1918) che tuttavia si stentava a tener agganciata alla corona danese. L’avvento della Grande Depressione fu molto sentito dall’economia islandese, essendo questa basata quasi esclusivamente sulle esportazioni. Non solo, la Guerra Civile spagnola rese inaccessibile il più grande mercato per il pesce salato, ragion per cui la crisi in Islanda si protrasse fino alla soglia degli anni ’40 e impegnò le neonate amministrazioni islandesi a fronteggiare un tasso di disoccupazione elevato.
La seconda guerra mondiale fu decisiva per l’indipendenza islandese. La Germania occupò la Danimarca il 9 aprile 1940 nonostante questa avesse dichiarato la propria neutralità, di fatto cessarono i rapporti con l’Islanda che nel frattempo era diventata un avamposto per le truppe alleate. L’Alþingi iniziò ad elaborare una nuova costituzione e la presenza di inglesi e americani giocò anch’essa un ruolo fondamentale per il raggiungimento dell’indipendenza. Questi infatti si impegnarono nella promozione del riconoscimento internazionale dell’isola che nel frattempo aveva sostenuto il referendum previsto dal trattato del 1918. Passò con maggioranza schiacciante e il 17 giugno 1944, anniversario della nascita di Jón Sigurðsson, a Þingvellir venne ratificata davanti agli occhi di quasi tutti gli islandesi la nuova costituzione che sanciva in maniera definitiva l’indipendenza dell’isola. Era appena nata una delle più piccole democrazie del panorama internazionale, ma che tuttavia poteva già contare su una forte identità nazionale.
La Repubblica d’Islanda e il nuovo millennio (1944-2009). Con la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda l’Islanda finì nella sfera d’influenza occidentale grazie anche al forte legame che era nato con le forze alleate negli anni precedenti. L’Islanda fu fra i paesi beneficiari del piano Marshall (sebbene non fosse stata toccata dal conflitto) e partecipò all’atto di fondazione della NATO. L’Islanda però continuava ad essere uno stato sprovvisto di forze armate e l’apertura della base NATO di Keflavìk fu il motivo di un aspro confronto politico che durò molti anni. L’importanza strategica di questa base, mediante la quale si potevano controllare tutti i transiti del Nord Atlantico, era irrinunciabile per gli Stati Uniti.
Nel frattempo la guerra aveva portato un benessere inusitato all’isola e aveva raggiunto standard di benessere fra i più alti dell’occidente. Venne così avviato un programma per consolidare questo status con rilevanti interventi pubblici e il potenziamento della flotta da pesca. Proprio la pesca, che copriva una grande percentuale del PIL dell’isola, fu il motivo di ripetuti contrasti con la Gran Bretagna. Fra gli anni ’50 e gli anni ’70 ci furono le cosiddette “guerre del merluzzo” che coincisero con ogni decisione dell’Islanda di estendere le miglia dalla costa entro le quali aveva il diritto di pesca. Il momento di maggior attrito ci fu nel 1975 quando gli islandesi decisero di estendere tale limite dalle 50 alle 200 miglia nautiche. La Gran Bretagna si rifiutò di accettare tale limite e continuò a pescare entro i confini islandesi che risposero schierando la propria guardia costiera. Gli inglesi decisero allora di far intervenire una ventina di sue fregate per proteggere la pesca dei propri pescherecci, ci furono anche alcune scaramucce che portarono allo speronamento di qualche nave ma al massimo ci fu solo qualche ferito. La questione si risolse quando l’Islanda minacciò di far chiudere la base NATO di Keflavìk al ché gli inglesi accettarono di rispettare il limite delle 200 miglia.
Nel frattempo la politica del paese era mirata a ridurre la propria dipendenza dall’esportazione di pesce. Si iniziarono così a diversificare le esportazioni puntando sull’industria e investendo sulle molteplici fonti di energia alternativa che l’isola offriva, anche con l’istituzione della Landsvirkjun, la compagnia nazionale per l’elettricità. Con gli anni ’70, come sul resto del continente, c’è un forte sviluppo di ideologie di sinistra che portano a manifestazioni contro la guerra in Vietnam, contro la NATO e di conseguenza contro la permanenza della base di Keflavìk.
Nel 1980 avviene un fatto politicamente molto significativo infatti alle elezioni presidenziali viene eletta Vigdís Finnbogadóttir che diventa la prima donna al mondo a diventare capo di stato. Resterà in carica per ben quattro mandati e, sebbene il ruolo di presidente non comporti importanti prerogative politiche, Vigdís si è impegnata a fondo per la promozione del suo paese nel mondo. Negli anni ’80 e ’90 continua il processo di diversificazione economica dell’isola che procede nonostante periodi di recessione e altri di forte inflazione. Il settore energetico diventa sempre più strategico per l’economia islandese, il turismo e il settore finanziario iniziano a prendere campo mentre non sortiscono gli effetti sperati i tentativi di avviare l’allevamento dei pesci. L’industria paga il dazio all’instabilità del sistema bancario islandese, ma con l’avvento del nuovo millennio l’Islanda diventa un centro di una speculazione finanziaria formidabile. Il simbolo di questa scalata nell’olimpo della finanza è rappresentato dall’acquisizione dei centri commerciali “Magasin du Nord” e “Hotel d’Angleterre” di Copenhagen e quindi proprietà appartenute agli ex colonizzatori danesi.[12] Tuttavia si è trattato di un’illusione di breve durata, con l’avvento della recessione che ha colpito l’economia globale a fine 2008 l’Islanda è stata il primo paese a capitolare. In tutti i mesi successivi sono seguite proteste e manifestazioni contro la precarietà dell’azione del governo, comportandone la caduta. Con le elezioni (anticipate di due anni) tenutesi il 25 aprile 2009 è stato formato un nuovo governo composto dai Socialdemocratici e dai Verdi e guidato da Jóhanna Sigurðardóttir. Per la prima volta dopo 18 anni il Partito dell’Indipendenza, formazione di centrodestra, non entra nella coalizione di governo, inoltre Jóhanna Sigurðardóttir diviene il primo capo di governo dichiaratamente omosessuale.
Il Primo Ministro Jóhanna Sigurðardóttir
Attualmente il paese sta ancora pagando dazio alla recessione globale. Una novità positiva che la crisi ha portato per l’Islanda è stato l’avvio dei negoziati di ammissione all’Unione Europea, novità che se andrà in porto, renderà l’isola più vicina al continente.
Veduta della baia di Reykjavik
L’ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE NEL CORSO DEI SECOLI
Gli albori: il libero stato islandese (930-1262). Le informazioni principali sulla colonizzazione dell’Islanda, per quanto riguarda fatti luoghi e tempi, sono contenute nell’Íslendingabók e nel Landnámabók. Del primo si è già parlato nella parte relativa alla storia del paese, ma anche quest’ultimo è di fondamentale importanza per l’oggetto della tesi vista la consistenza di informazioni dettagliate che contiene.
Di questo libro ne esistono tre versioni, la prima e la più affidabile viene attribuita a Sturla Þórðarson ed è curioso notare che, quando si parla del principio della società islandese, si finisca sempre per imbattersi in qualche membro della famiglia degli Sturlungs. Sturla infatti è figlio di Þórður Sturluson e quindi nipote di Snorri Sturluson, del quale era uno degli allievi prediletti. Sturla nasce nel 1214 e muore nel 1284 per cui i fatti di cui parla risalgono a circa cinque generazioni precedenti la sua. Benché non disponga di dati di prima mano e la maggior parte delle informazioni da lui raccolte fossero state tramandate oralmente, i fatti di cui parla sono ritenuti affidabili dagli studiosi.
Nel Landnámabók vengono citati oltre 1.400 insediamenti e più di 3.000 nomi di persone, fra i quali quelli dei primi 435 coloni che popolarono l’isola. I primi si stabilirono soprattutto nella parte sud occidentale e settentrionale del paese e nel giro di pochi decenni arrivarono altri esuli, soprattutto dalla Norvegia. Questi colonizzarono le rimanenti parti abitabili del paese che erano site nella fascia costiera dell’isola. Nel corso dell’ “Età della Colonizzazione” (874-930) si stima che la popolazione arrivò ad essere compresa fra le 15.000 e le 20.000 persone. Sebbene i coloni fossero sparsi lungo le coste dell’isola e non esistevano veri e propri villaggi nacque ben presto l’esigenza di darsi un’organizzazione politica e soprattutto giudiziaria.
La società islandese e la figura del goði. La struttura e l’ordinamento della società islandese nei suoi primi tre secoli di vita rappresentava un modello originale nel panorama del medioevo europeo. Essa era costituita da numerosi clan detti goðorð alla cui testa vi era il goði (goðar al plurale). Questi doveva tutelare i vassalli a lui fedeli, dirimere le controversie fra di loro ed applicare le decisioni che venivano prese dai vari tribunali. La peculiarità di questo modello è che il clan non era distribuito secondo dei canoni geografici, ma si trattava di un gruppo di più persone che decideva di affidarsi a questo o a quel goði. Ai vassalli era consentito passare da un clan all’altro, se ciò era possibile sulla carta nella realtà poteva comportare faide e rappresaglie.
La dignità del goði spesso risaliva alla collocazione che si aveva in madrepatria. Chi in Norvegia aveva nobili origini poteva essere un potenziale goði, chi invece era contadino spesso era destinato a rimanere tale. La carica di goði tuttavia non era semplicemente ereditabile, essa dipendeva da come un soggetto riusciva a farsi largo nella società accumulando onore, prestigio e autorevolezza. Inoltre non era neppure elettiva, non era possibile ad esempio per un gruppo di vassalli riunirsi e nominare fra di loro un goði.
Presso le antiche popolazioni norrene il goði era colui che officiava i riti pagani, il termine goði infatti deriva da “goð” che significa “dio”. In Islanda però queste persone venivano chiamate “hofgoði” (dove “hof” significa “tempio”). Probabilmente per indicare i capi-clan si mantenne il termine goði per conferire a questa figura una sorta di aurea ultraterrena, che ne giustificasse la superiorità e il fatto che i vassalli e la popolazione di ceto inferiore ne accettassero l’autorità. [13]
Si intuisce che la società islandese era stratificata in diversi ceti, i quali spesso erano stati “importati” dalla Norvegia. Non esistevano blocchi fra una classe all’altra e il salto di qualità dipendeva dall’intraprendenza del colono, ad esempio chi passò dal coltivare la terra ai commerci poté aumentare la propria ricchezza e con questa scalare posizioni nella piramide sociale. Tuttavia era difficile riuscire ad intaccare le posizioni più altolocate poiché era anche necessario dimostrare l’importanza delle proprie origini in quanto nobili in madrepatria o discendenti dei primi colonizzatori. La stessa classe clericale che si formò a partire dall’XI secolo, essendo strettamente connessa con le famiglie dei goði, non permetteva di compiere grandi salti nella scala del benessere.
Quando nel 930 si decise di fondare un’assemblea permanente fu spontaneo che fosse composta dai vari goðar. Essi erano i punti di riferimento per ogni tipo di attività che si svolgeva sull’isola e di conseguenza le decisioni dovevano dipendere da loro. Poiché i soli goðar avevano nelle loro mani tale potere decisionale, ciò conferiva a questa struttura una connotazione oligarchica. Tuttavia, essendo i goðar dei rappresentanti della popolazione e rappresentandola all’interno di una camera inter pares, ha fatto sì che questo modello sia stato considerato, non unanimemente, il primo esempio di parlamento risalente all’Alto Medioevo: l’Alþingi.
L’importanza dell’onore.
Quando i tavoli furono imbanditi, Ofeig posò il suo pugno sul tavolo e disse:
“Gudmund, quanto ti sembra grosso questo pugno?”
“Bello grosso” rispose.
“Pensi che ci sia un po’ di forza dentro questo?” domandò Ofeig.
“Sicuramente” disse Gudmund.
“Pensi che potrebbe far male?” chiese nuovamente Ofeig.
“Si, molto male” replicò Gudmund.
“Secondo te cosa potrebbe riuscire a fare?” continuò Ofeig
“Rompere ossa o anche sferrare un colpo mortale” rispose Gudmund.
“Pensi che una fine simile possa interessarti?” insistette Ofeig.
“Assolutamente no, non la sceglierei per niente” disse Gudmund.
Ofeig disse: “Bene, allora non sederti al mio posto”.
“Come desideri” disse Gudmund, e si sedette al suo fianco.
I presenti ebbero l’impressione che Ofeig non volesse rinunciare al posto d’onore,
che da un po’ di tempo stava occupando.[14]
L’episodio è racchiuso nella Ljòsvetninga Saga e narra di una festa organizzata da uno dei vassalli di Gudmund a cui partecipa anche Ofeig, il quale da tempo era la figura preminente della zona. Quando tutti gli ospiti si erano accomodati a tavola, Gudmund si era seduto nel posto più in vista provocando la reazione di Ofeig.
Questo episodio è un esempio per comprendere meglio il concetto di onore e le relative ripercussioni in campo sociale che il conferimento di questo aveva. Essere persone dotate di onore ed avere autorevolezza sufficiente per esercitare il proprio potere comportava una sorta di sfida permanente per non perdere questo status e, possibilmente, per accrescerlo. La conseguenza di ciò fu una società che definire litigiosa è un puro eufemismo. Come ricordato in precedenza faide e delitti d’onore erano all’ordine del giorno, la creazione di istanze giudiziarie era necessaria non solo per dirimere le controversie, ma era di vitale importanza per l’esistenza stessa della società islandese. Per una società afflitta da continui scontri interni, l’assenza di organismi giudiziari avrebbe comportato una rapida autodistruzione.
L’Alþingi e i tribunali giudiziari.
Alþingi[15]
La pietra miliare di questo ordinamento è la costituzione di un’assemblea per tutta l’Islanda, l’Alþingi, che si riuniva per due settimane all’anno a partire dal solstizio d’estate a Þingvellir nel sud ovest del paese. Un secondo passo che venne compiuto fu quello di suddividere l’isola in quattro quadranti, uno per punto cardinale, per il quale erano previste tre assemblee locali. Per il quadrante del nord ne furono previste quattro sia in quanto era il più popolato sia per rimarcare la sua importanza storica essendo quello di colonizzazione più antica. Queste assemblee locali, chiamate Varþings (assemblea di primavera), si riunivano per l’appunto durante la primavera per occuparsi delle dispute fra i coloni e delle questioni amministrative. Ogni assemblea era presieduta da tre capiclan locali i quali conducevano i lavori e sceglievano chi doveva occuparsi di giudicare le varie controversie. Ogni capofamiglia che prendeva parte alla seduta doveva dichiarare a quale dei tre capoclan faceva riferimento, in questo modo si instaurava una sorta di rapporto di vassallaggio.
Vi erano anche altri raduni di natura formale. Ad esempio due settimane dopo la riunione dell’ Alþingi venivano convocate delle assemblee locali chiamate Haustþing (assemblea d’autunno) durante le quali venivano annunciate le decisioni prese in occorrenza dell’Alþingi e stilato il calendario per gli eventi dell’anno successivo.
Le Corti dei Quadranti (Fjórðungsdómur) vennero istituite verso il 965 e servivano come prima istanza per giudicare le dispute ed i problemi che coinvolgevano soggetti afferenti a Varþings diversi. Potevano anche rimpiazzare la funzione dei Varþings quando questi non riuscivano ad esprimersi su una determinata questione. Essi erano composti da trentasei delegati, ovvero da dodici persone di fiducia per ogni capoclan. Le decisioni potevano esser prese solo con una maggioranza di trentun delegati su un totale di trentasei. E’ importante ricordare che la possibilità di scegliere spettava solo a chi godeva di prestigio e onore da più generazioni, questo era un modo per far si che chi aveva nobili origini prima di emigrare in Islanda potesse mantenere in qualche modo il suo status.
All’inizio dell’XII secolo fu istituita la Quinta Corte (fimmtardómur), una sorte di corte suprema composta da quarantotto delegati. Anche essi erano nominati dai capiclan che presiedevano le varie assemblee locali, nel frattempo erano aumentati di numero (tre in più per ogni Quadrante) in quanto era stata aggiunta una nuova assemblea locale ai Quadranti di Sud, Ovest ed Est per pareggiare il conto con il Quadrante del Nord. La Quinta Corte disciplinava i casi che non si riuscivano a risolvere nelle Corti dei Quadranti ed inoltre si occupava di giudicare casi relativi a corruzione, a coloro che davano asilo a fuorilegge e schiavi fuggiaschi o che riguardavano membri del clero. Le decisioni venivano prese a maggioranza semplice, ma prima del giudizio ognuna delle due parti in causa poteva estromettere sei giudici.
Il Lögrétta invece era la sede dove ci si occupava delle questioni amministrative, di promulgare nuove leggi e di interpretarle qualora ci fossero state delle discordanze. Al suo interno sedevano il lögsögumaður (una sorta di presidente dall’assemblea), i quarantotto capiclan delle assemblee locali (che potevano farsi accompagnare da due vassalli in qualità di consiglieri) e a volte i due vescovi. Il lögsögumaður veniva eletto dall’assemblea per un periodo di tre anni e aveva il compito di imparare tutte le leggi a memoria per riportarle in assemblea quando ve ne era la necessità. Le persone che dovevano rivestire questo compito avevano indubbiamente una memoria prodigiosa in quanto avevano l’obbligo di:
recitare tutte le sezioni in modo così esteso e preciso più di chiunque altro. Se la sua conoscenza non arriva a ciò, prima di recitare la sezione in dubbio deve incontrarsi il giorno prima con cinque o più esperti di diritto che lo istruiscono sulle parti mancanti. Chiunque si intromette disturbando il lavoro sarà multato.[16]
Il lögsögumaður era anche l’unico soggetto ad esser pagato fra quelli che partecipavano alle varie attività politiche dell’isola, di fatto era l’unico “dipendente” del Commonwealth. Non è un aspetto di poco conto perché come si nota nello schema all’inizio del capitolo, nella suddivisione dei poteri manca quello esecutivo. Ciò era prerogativa dei vari goðar, l’applicazione delle norme amministrative e della giustizia era basata su processi di autoregolazione. Se la dottrina dell’onore imponeva il rispetto di certe decisioni, la situazione iniziò a precipitare quando il potere si concentrò nelle mani di poche famiglie e gli interessi in gioco divennero troppo compromettenti. Era naturale che questo vuoto venisse riempito in qualche modo e i regnanti norvegesi ebbero gioco facile dopo la fine della guerra civile.
I Hreppr, la Decima e il ruolo della Chiesa. Il Hreppr costituiva un’unità amministrativa indipendente dalla struttura assembleare legata ai capiclan. Era un’unità locale, organizzata sul territorio e la sua funzione principale era di garantire un supporto a chi cadeva in povertà. Ad ogni hreppr dovevano partecipare almeno venti famiglie (salvo deroga del lögrétta) e prevedeva tre incontri l’anno, più di tre se ritenuto necessario. Durante questi raduni esso aveva il compito di raccogliere le decime e gli altri contributi obbligatori che poi venivano distribuiti ai poveri. Il trasferimento di queste risorse spesso era diretto: le persone che avevano problemi di sussistenza venivano assegnate ad una famiglia benestante, il numero di persone che venivano affidate ad ogni famiglia era proporzionale alla ricchezza della stessa.
Un altro ruolo importante giocato dai hreppr era l’amministrazione del “sistema assicurativo”.[17] Esso costituiva un fondo di garanzia per chi incappava in malattie, incendi o altre disgrazie. Non si sa con precisione se il sistema fosse applicato come era inteso dalla legge, tuttavia la legge stessa era molto puntuale circa il suo funzionamento. Ad esempio chi perdeva più di un quarto del suo gregge a causa di un’epidemia aveva diritto ad esser rimborsato per la metà della perdita subita. Vi era una sorta di copertura assicurativa per quanto riguardava la propria dimora, per la precisione riguardava la metà del valore di soggiorno, cucina o dispensa. Ognuno durante la riunione del hreppr primaverile doveva specificare quale stanza intendeva assicurare. Questo meccanismo all’apparenza complicato era dovuto alla semplicità delle case di quel tempo che spesso erano costituite da un singolo vano. Ogni persona non poteva accedere a questo fondo di garanzia per più di tre volte l’anno. Se i danni che aveva subito non potevano esser coperti istantaneamente, potevano esser ripianati a rate.
Alla conversione dell’Islanda al Cristianesimo ne conseguì l’introduzione della decima, contributo necessario per lo sviluppo della Chiesa nel paese. Contrariamente a quanto avveniva nell’Europa continentale dove la decima veniva applicata ai raccolti, in Islanda essa era applicata all’un percento della proprietà. Le persone che avevano oltre sessanta anni erano tenute a dichiarare sotto giuramento durante lo svolgimento del hreppr quale fosse il loro stato di salute, il mentire o lo sminuire le proprie capacità era disincentivato da pene rigide e anche dall’ “economia dell’onore” accennata nei capitoli precedenti. Dalla decima erano esentati i possedimenti del clero e parte di quelli delle famiglie dei capiclan. Ciò forniva un sotterfugio alle stesse famiglie benestanti per poter pagare meno tasse: essendo molti rappresentanti ecclesiastici appartenenti a queste famiglie, i capiclan “donavano” parte dei loro possedimenti alla Chiesa, possedimenti che in realtà erano poi gestiti da membri della stessa famiglia.
Un’altra forma di contributo che spettava alla Chiesa da parte dei singoli era una collaborazione attiva nella diffusione del culto, nella fattispecie consisteva nell’aiuto nell’edificazione dei luoghi di culto. Le persone contribuivano di buon grado in quanto “una persona ha diritto a tante stanze in paradiso tanti quanti sono i posti che ci sono nella chiesa che ha costruito”.[18]
La divisione giuridica delle sedi vescovili si delineò nel giro di cinquanta anni (1056 e 1106), gli anni in cui vengono fondate le due sedi di Skàlholt nel sud e Hòlar nel nord. Durante il vescovato di Páll Jónsson (1195-1211) la diocesi di Skàlholt contava già 220 chiese, tuttavia vi era mancanza di predicatori per cui non si riusciva a coprire tutto il territorio. Nacque cosi una figura, quella del þingaprestr (predicatore di distretto) che aveva il diritto di vendere le sue prestazioni nel modo opportunamente configurato dalla legge. C’era un limite annuo che poteva contrattare e il compenso dipendeva dall’estensione e dalla facilità di attraversamento del distretto in cui doveva operare. Spesso erano figure che emergevano dai feudi il cui padrone possedeva anche una chiesa.
Infine le pratiche religiose e le ammende dovute all’omissione del loro corretto svolgimento erano disciplinate all’interno della Grágás. Questa è una sorta di codice che si occupa di regolare pressoché ogni aspetto della vita del colono e da questi non viene esclusa la parte spirituale. Tuttavia le mancanze relativamente alle pratiche religiose erano annoverate per lo più fra i reati minori. Ad esempio comportava sanzioni il rifiuto di battezzare i propri figli, chi si rifiutava di prestare dei mezzi di trasporto per portare un bambino ad esser battezzato, chi aveva una capacità mentale normale ma non era in grado di recitare il Credo e il Pater Noster. Anche la pratica di riti pagani era sanzionata in tono minore e anzi, stando a quanto riportato in varie saghe per lungo tempo si era stati propensi a chiudere un occhio in situazioni del genere. Ben altra era la situazione sul continente, la situazione anomala dell’Islanda era dovuta soprattutto alla sua recente conversione. Questo clima di tolleranza muta con il passare degli anni, in particolare dopo che Cristiano IV di Danimarca accettò la riforma protestante e incoraggiò la pratica della “caccia alle streghe”. Anche in questo caso l’Islanda presenta delle peculiarità in quanto fu uno dei pochi stati dove le persone mandate al rogo erano in maggioranza di sesso maschile, tuttavia l’isola non godeva più della propria autonomia a vantaggio del regno danese e la Grágás aveva perso il suo valore.
La Costituzione del Commonwealth: la Grágás. Da quanto detto finora si nota come la legge e la disciplina delle dispute occupasse un posto di primo piano nella società islandese ed avessero poco da invidiare ai sistemi che si erano sviluppati sul continente. Ciò risulta ancora più curioso se si pensa che l’Islanda era una colonia di recente formazione.
La Grágás era articolata in un modo che non aveva eguali nelle altre culture contemporanee e altrettanto si può dire del comportamento dei coloni islandesi i quali argomentavano le loro posizioni in egual maniera. Essa inoltre contrastava con i codici raffazzonati dei sistemi anglosassoni e continentali in genere, dai quali si distingueva per il raggio di copertura che aveva su molti aspetti della vita quotidiana e il livello del suo dettaglio. Si prenda ad esempio il seguente passo nel quale viene disciplinato il ricollocamento di un cimitero:
Se una chiesa viene spostata un mese prima dell’inverno o è così danneggiata che non può essere utilizzata, i corpi e le ossa devono esser rimossi un mese prima del prossimo ottobre. I corpi e le ossa devono essere portati in una chiesa per il quale il vescovo permette la loro sepoltura. Se una persona vuole spostare le ossa, il proprietario del terreno deve chiamare nove vicini e i loro servi come se si trattasse del varo di una nave. Devono avere con loro le vanghe e i badili, egli stesso deve procurarsi le pelli in cui portare le ossa e le bestie per trasportarle. Deve inoltre chiamare coloro che vivono più vicino al posto dove devono essere portate le ossa alla luce e deve farlo sette giorni o più in precedenza di quando ciò deve esser fatto. Devono ritrovarsi a metà della mattinata. Un capofamiglia deve andare con i suoi servi in miglior salute, tutti tranne il pastore. Devono iniziare a scavare nella parte più esterna della chiesa e devono cercare le ossa come se stessero cercando delle monete che si aspettano di trovare proprio lì. Il parroco che è coinvolto in ciò si deve recare sul posto con l’acqua consacrata e cantare sopra le ossa. Le ossa vengono quindi portate nella chiesa dove è il vescovo ha dato il permesso; qui è legale che ne possa esser fatto ciò che più si desidera, scavare una fossa comune per tutte le ossa o fare più tombe.
Se il proprietario del terreno non avesse spostato le ossa come quanto detto, o se quegli uomini che erano stati chiamati non avessero partecipato, devono esser multati di tre monete e denunciati da chiunque li voglia perseguire. La convocazione in questo caso deve esser fatta localmente e cinque vicini della persona indagata devono essere chiamati all’assemblea, la corte deve condannarli con il giudizio di spostare le ossa e portarle nella chiesa adibita entro quindici giorni dal giudizio dell’assemblea.[19]
L’articolo appena citato è ricco di passaggi anche suggestivi come la metafora della ricerca delle ossa come se fossero monete preziose e l’esclusione di pastori dalle operazioni (probabilmente perché ritenuti di rango non abbastanza elevato per compiere un’azione del genere). Tuttavia vi sono anche considerazioni più importanti da fare. In primo luogo, l’inclusione nella Grágás del diritto ecclesiastico. In seconda battuta, lo stile stesso della Grágás la quale sembra stata scritta per lo più basandosi su casi specifici che formulata per aspetti generali[20]. Inoltre, anche da un’azione comune come il dissotterramento di ossa, da questa semplice disciplina emerge una precisa definizione della censo sociale e della sua implicazione nei vari compiti da assolvere.
L’aspetto generale che si coglie sfogliando la Grágás è quello di un codice per una società extrasanzionata. La minuzia con cui è stato redatto il passaggio precedente era applicata alla quasi totalità delle pratiche della vita quotidiana: contratti di matrimonio, vendite di beni, riscossione di prestiti, garanzie su terreni e bestiame e via dicendo. Alla minuzia dei particolari era complementare anche la disciplina delle sanzioni. La tendenza in questo senso era di avere una relativa bonomia verso i reati minori mentre per i reati più gravi prevedeva punizioni molto rigide come la confisca dei terreni e il contemporaneo esilio di tre anni dall’Islanda o l’esilio permanente.
Lo stile della Grágás evidenzia una sorta di predisposizione culturale alla legiferazione e in molti passaggi sono presenti dei barocchismi che fanno pensare ad un sottile piacere nella formulazione della legge. Sono presenti alcuni passaggi che sono difficilmente collegabili a pratiche della vita quotidiana, per questo si è supposto che fossero più dei momenti in cui chi legiferava si era abbandonato alle proprie pulsioni estetiche. Ciò non toglie che il sistema legale che si era sviluppato in Islanda era impressionante per la sua epoca: corti, esperti in legge, regole articolate ne erano i capisaldi. Tutto questo però si sviluppò in completa assenza di uno Stato e di un istituzione coercitiva in caso di trasgressione. Non c’era un apparato burocratico che controllasse quello amministrativo e non c’era nessun organismo permanente oltre il lögrétta.
Per la maggiore, si suppone che molte leggi erano considerate una sorta di modello di riferimento per le rispettive pratiche. Presumibilmente essere erano redatte in modo così complesso in modo da fungere come “libretto delle istruzioni” per svolgere un determinato lavoro, una precisa mansione o una specifica cerimonia. Tuttavia la Grágás non è da intendere esclusivamente in maniera opzionale. Ad esempio per quanto riguardava la disciplina degli omicidi e delle ferite da combattimento (quindi delle risse in generale) essa costituiva un punto di riferimento e chi uccideva il proprio rivale per una specifica ragione era cosciente della sanzione in cui sarebbe incorso.
Detto questo non bisogna dimenticare il contesto in cui la legge doveva operare. Leggendo le varie saghe vi sono numerosi passaggi in cui la legge viene a dir poco calpestata e non poche volte ciò avveniva impunemente. Al proposito è illuminante il seguente passaggio preso dalla Vatnsdœla Saga, è la reazione del fratello di un capoclan dopo che questi era stato offeso:
Noi possiamo anche non essere esperti in legge, però siamo pronti a risolvere la questione con le nostre asce.[21]
Questa citazione non lascia spazio a fraintendimenti e probabilmente rappresentava la realtà della quotidianità islandese. Non sempre le questioni venivano risolte nelle apposite corti. Non solo, spesso confronti violenti si avevano anche all’interno delle assemblee, Alþingi incluso. Molto del tempo che veniva speso per preparare le conclusioni di una causa era adibito all’organizzazione del “servizio d’ordine”. Durante il giudizio, coloro che erano oggetto di giudizio, reclutavano dei supporter che li sostenessero e ciò incideva anche sull’esito finale.
A conclusione di questa parte si pone l’accento sul netto contrasto che c’è fra un’insieme di leggi, la Grágás, fra i più evoluti del proprio tempo e una società, quella islandese, altrettanto violenta. Le turbolenze che caratterizzavano la colonia avevano dato l’impulso per tentare di dirimere le controversie in maniera pacifica, ma questo tentativo, per quanto d’avanguardia, è stato soffocato nel sangue. Ciò che è mancato è stata l’istituzione di organismo che detenesse il monopolio dell’uso della forza. Non c’erano prigioni, né polizia né sceriffi a mantenere l’ordine. L’uso della forza non era ad appannaggio di nessuno e per questo, per contrappasso, è come se fosse stato ad appannaggio di tutti.
L’anfiteatro naturale di Þingvellir
L’amministrazione norvegese. Con la sottoscrizione del Trattato di Gissur nel 1262 l’organizzazione istituzionale dell’isola non cambiò radicalmente come ci si potrebbe aspettare. La grande distanza che separava l’Islanda dalla Norvegia impediva a quest’ultima di esercitare il proprio giogo e di portare modifiche significative. Ciò era dovuto soprattutto all’impossibilità del re norvegese di poter schierare il proprio esercito sull’isola essendo questo spesso impegnato in dispute nella penisola scandinava. L’assenza dell’esercito impediva una pressione diretta sulla popolazione e sull’aristocrazia locali, tuttavia ciò non impedì al regnante norvegese di imporre i propri amministratori.
L’Alþingi continuò ad esistere svolgendo la funzione di collettore dell’attività governativa dell’isola. I vari capiclan che prima componevano l’assemblea furono sostituiti da ufficiali di distretto (syslumandur) i quali però continuavano ad esser reclutati fra le famiglie più importanti. Essi potevano liberamente contrattare ed opporsi alla corona durante i lavori dell’assemblea, soprattutto sulla tassazione e sulle regole commerciali, tuttavia la funzione dell’Alþingi rimaneva essenzialmente giuridica.
L’amministratore principale dell’isola era il governatore (hirdstjori) la cui figura ricorda molto quella dei podestà che in quel periodo amministravano molte città del nord Italia. Infatti il governatore era spesso uno straniero che amministrava l’isola in cambio di una retribuzione da parte della monarchia norvegese. Questo fu uno dei passi principali che venne compiuto per pacificare l’isola. Era troppo rischioso lasciare che questa mansione fosse ricoperta da un rappresentante dell’isola poiché tutte le principali famiglie erano ancora legate da rancori neanche troppo remoti. Qualunque aristocratico islandese avesse ricoperto quel ruolo, avrebbe potuto abusare della propria posizione e riaccendere la miccia di una polveriera che dava ancora l’impressione di poter deflagrare da un momento all’altro.
Era questo il timore dei regnanti norvegesi i quali avevano ben altri problemi di cui occuparsi in madrepatria e quindi poche risorse da destinare all’Islanda. La linea che questi seguirono per la pacificazione dell’isola era quindi “morbida”, non del pugno duro. Un altro passo che venne compiuto con moderato successo fu creare dei pattugliamenti dell’isola e tentare di far rispettare la legge. Risse e vendette continuarono a rimanere una costante della società islandese, ma in modo decisamente minore rispetto a quanto accadeva durante il Commonwealth.
Il fulcro di tutte queste novità fu con l’avvicendamento sul trono di Norvegia subito dopo la firma del Trattato di Gissur. Come visto in precedenza, alla morte di Haakon il Vecchio nel 1263 succedette sul trono Magnus IV il Legislatore il quale caratterizzò il suo regno con un’intensa attività legislativa. Come primo passo decise di unificare i codici delle leggi della Norvegia e tutti suoi possedimenti fra cui le Shetland, le Fær Øer e ovviamente l’Islanda. Il nuovo codice introdusse il concetto che il crimine era un’offesa in primo luogo verso lo stato, inoltre limitò notevolmente i casi in cui era ammessa la vendetta personale. Un secondo passo fu la redazione della legge municipale che era a beneficio delle città la cui amministrazione divenne più indipendente rispetto alle zone rurali (dove invece erano responsabili dell’amministrazione i vari vassalli del re). Un ulteriore aspetto di questa fase di riforme fu quella che riguardava la successione al trono. I contrasti per la successione erano stati molto cruenti nelle decadi precedenti e avevano portato anche ad una guerra civile. Magnus IV nominò come successore il suo figlio primogenito e affibbiando il titolo di duca al suo secondo figlio, rendendo inequivocabile quale sarebbe stata la linea di successione. Queste nuove leggi inoltre portarono Magnus IV a scontrarsi con l’arcivescovo norvegese il quale mirava a mantenere il proprio potere temporale e la propria influenza sulla casa regnante. Gli aspri scontri fra i due portarono a varie ripercussioni: la chiesa norvegese continuò a mantenere una propria autonomia soprattutto in materia giudiziaria, però il Regno di Norvegia non venne più considerato un feudo che cadeva sotto l’autorità della Chiesa Cattolica.
In Islanda queste modifiche vennero recepite nel 1281 tramite l’approvazione da parte dell’Alþingi del Jónsbók redatto da Jón Einarsson. Come si può immaginare le ripercussioni si ebbero soprattutto in campo giuridico per quanto riguarda la restrizione della vendetta, fu una delle norme che contribuì a normalizzare la situazione islandese dopo la guerra civile. Un altro ambito in cui vi fu un cambiamento significativo furono i rapporti con la chiesa islandese. L’Alþingi approvò un nuovo codice ecclesiastico proposto da Árni Þorláksson, vescovo di Skálholt, su suggerimento dell’arcivescovo norvegese. Innanzitutto veniva ribadita l’autorità indipendente della Chiesa di Roma. Non meno importante era il passaggio che prevedeva la conversione dei terreni delle chiese più benestanti in feudi ecclesiastici. Ciò implicò un notevole trasferimento di risorse dalle famiglie più importanti dell’isola al clero locale. Le gerarchie ecclesiastiche in questo modo si sottrassero al controllo diretto dei vari goðar e raggiunsero una notevole autonomia.
Tutti gli accordi presi con il Trattato di Gissur e il Jónsbók vennero rinnovati nel 1302 con la sottoscrizione del “Vecchio Trattato” (Gamli sáttmáli). Essi sancivano l‘unione dell‘Islanda alla Norvegia che sarebbe durata fino Unione di Kalmar del 1397 con l‘annessione della Norvegia (e quindi anche dell‘Islanda) al Regno di Danimarca.
L’amministrazione danese e le riforme per l‘autonomia. L’amministrazione danese in Islanda attraversa essenzialmente tre diverse fasi:
1. dal 1397 al 1662 con il passaggio sotto l’Unione di Kalmar fino all’avvento della monarchia assoluta.
2. dal 1662 al 1798, anno della chiusura dell’Alþingi.
3. dal 1798 al 1944, anno dell’indipendenza.
Nei primi due periodi l’interesse dei regnanti danesi per l’Islanda è relativamente moderato, in certi momenti pressochè nullo, e di conseguenza gli interventi sull’apparato amministrativo islandese si possono definire modesti. Ciò fu dovuto soprattutto alle continue guerre a cui la Danimarca partecipò in questi periodi, ma anche alla difficoltà nel mantenere i contatti con l’isola per i motivi analizzati nei precedenti capitoli. Inizialmente l’organizzazione rimase quella pattuita nei precedenti accordi con la Norvegia, l’Alþingi restava il fulcro dell’attività legislativa e giudiziaria dell’isola in compartecipazione con la corona. Il lögrétta infatti era soggetto all’ “assenso reale” per le leggi che varava, viceversa le leggi promosse dal re necessitavano il consenso di questa istituzione.
Lo scarso interesse manifestato per questa remota colonia venne meno durante il processo della Riforma Protestante nel XVI secolo, ma le ripercussioni furono più di carattere sociale che politico-amministrativo. La Danimarca mantenne il monopolio commerciale con l’isola ed impedendole contatti con il continente, gli ufficiali amministrativi venivano istruiti in Danimarca mentre il clero (che era la classe più importante) continuava ad esser istruito in Islanda e spesso sapeva parlar meglio latino che danese. Le decisioni più importanti che riguardavano questa colonia erano prese in Danimarca, ma da persone che sovente conoscevano poco o per niente il paese. L’isolamento costituiva per l’Islanda una sorta di “autonomia amministrativa implicita” e la situazione non mutò in modo significativo neppure in seguito all’Assemblea di Kópavogur del 1662 dove l’Islanda perse la sua posizione paritaria nei confronti della casa regnante.
La firma del trattato fu imposta dal re Federico III che voleva estendere il dominio della propria corona. L’Alþingi perse la sua funzione legislativa rimanendo principalmente un’istanza giuridica. Con la sigla del trattato l’Islanda riconosceva la propria sottomissione ai regnanti danesi e alle sue istituzioni, la parte più significativa prevedeva la perdita del potere di iniziativa e negoziazione legislativa da parte dell’Alþingi. Indubbiamente si trattò di modifiche sostanziose, ma la Danimarca non ebbe modo (né volontà) di giovarne per almeno un altro secolo.
Fu un periodo di modifiche anche per l’ordinamento danese. Dal 1320 il Consiglio di Danimarca, o Rigsraadet, era l’unica istituzione che affiancava il re nella regia del paese. Questa istanza era composta da un numero di membri variabile (sempre intorno alla ventina) provenienti dalla nobiltà danese, aveva molteplici ruoli fra cui il principale era quello di controllare il re e con lui regolare l’amministrazione del regno. Il Consiglio aveva anche il compito di ratificare e formulare i trattati internazionali che la Danimarca concludeva, inoltre al suo interno, fino alla Riforma del 1536 sedevano tutti i vescovi danesi.
Il rapporto fra il Consiglio e il re nel corso della storia è stato altalenante e, sebbene l’autorità del Consiglio fosse indiscutibile, sovente il re ricorreva a scappatoie per poterne aggirare le decisioni. La prerogativa più importante del Consiglio riguardava la scelta della successione al trono dei regnanti o di eventuali reggenti. Per questo motivo, quando Federico III decise di imporre la monarchia assoluta al suo paese approfittando della sua popolarità, il Consiglio fu abolito proprio per sancire questo passaggio. La monarchia danese cessava così di essere una monarchia elettiva.
I primi interventi sensibili nell’architettura istituzionale islandese iniziarono a prendere corpo alla fine del XVIII secolo, in particolar modo quando l’Alþingi venne chiuso nel 1798 con un decreto regio. Si trattava di una tappa intermedia per una riforma del sistema giudiziario dell’isola che prevedeva il concentramento delle istituzioni principali nel primo agglomerato urbano che si era formato, quello di Reykjavik. Con lo stesso decreto regio si istituì l’Alta Corte, un’istituzione composta da tre giudici che si riunivano regolarmente e che rappresentava la più alta istanza di giudizio del paese. L’Alta Corte continuò ad operare fino al 1920 quando fu sostituita dalla Corte Suprema Islandese.
Nel 1843 venne mosso il primo passo significativo verso la self-governance dell’Islanda, un decreto regio dell’8 marzo 1843 infatti stabiliva la riapertura di un nuovo Alþingi a cui sarebbe spettata la funzione di camera consultiva. L’isola venne divisa in venti distretti, ognuno dei quali eleggeva un proprio rappresentante. A questi venti membri se ne aggiungevano sei di nomina reale facendo sì che questa assemblea fosse composta da ventisei membri. L’elezione avvenne seguendo il modello danese di quel tempo, prevedeva la partecipazione al voto della popolazione maschile benestante superiore ai venticinque anni di età. Ciò significava che al voto partecipò il 5% circa della popolazione. Il nuovo Alþingi si riuniva annualmente ogni primo giorno di luglio in sessioni di quattro settimane che potevano essere prolungate in caso di necessità. Come detto, in questo periodo la nuova assemblea funzionava come semplice organo consultivo, al suo interno si discutevano le proposte di legge e ogni membro poteva porre domande. Erano previste due letture del della legge, una iniziale ed una finale, le quali erano intermezzate dalla fase interlocutoria. Le modifiche proposte che venivano accettate erano chiamate petizioni.
Nel 1851 al posto dell’annuale seduta dell’Alþingi si tenne un’assemblea che doveva deliberare una nuova forma di governo per l’Islanda. Dal dibattito emersero i contrasti fra le posizioni autonomiste dei rappresentanti islandesi (guidati da Jón Sigurðsson) e quelli della corona danese. In seguito al dibattito non vennero apportate significative modifiche e l’assemblea continuò la sua opera di miglioramento della legislazione e dell’amministrazione locale.
Nel 1871 il Parlamento danese approvò unilateralmente una legge che dichiarava l’Islanda una parte inseparabile del Regno di Danimarca, la quale tuttavia poteva godere di qualche privilegio in materia di autogoverno. Questa legge era chiamata “legge di Stato”.
Ritratto di Jón Sigurðsson
Nel 1874, con la ricorrenza del millesimo anniversario della colonizzazione dell’isola, il re concesse una nuova costituzione con la quale stabiliva la condivisione delle decisioni per quanto concerneva gli affari islandesi. Il numero dei membri fu innalzato a trentasei, trenta erano eletti in elezioni generali e gli altri sei erano sempre di nomina regia. L’Alþingi venne diviso in una Camera Alta, dove sedevano sei membri eletti e i sei rappresentanti del re, e in una Camera Bassa, dove sedevano i restanti ventiquattro. La composizione della Camera Alta dava la possibilità ai sei deputati danesi di bloccare l’attività legislativa in quanto in numero pari di quelli islandesi. Le due camere potevano anche riunirsi in una sessione plenaria che prendeva il nome di Alþingi Riunito. Nel complesso si trattava di un passo avanti rispetto al precedente status, ma il re aveva mantenuto il potere di veto su quanto formulato dall’assemblea. Inoltre la nuova costituzione era pur sempre basata sulla “legge di Stato” che di fatto spegneva le speranze della formazione di uno stato islandese indipendente.
Dal 1874 al 1915 l’assemblea nominava commissioni su specifiche materie, dal 1915 in poi invece ogni camera iniziò a nominare sette commissioni permanenti. I lavori si protraevano in regolari sessioni annuali da sei fino ad otto settimane a partire dal primo giorno di luglio, nel 1886 venne aggiunta un’altra sessione e queste divennero sempre più frequenti con il procedere degli anni. La figura più rappresentativa del governo islandese era il Governatore Generale che doveva rispondere del suo operato ad un membro del governo danese, il Consigliere per l’Islanda, che sedeva a Copenhagen.
Come visto in precedenza nel 1901 in Danimarca si forma un governo di sinistra per la prima volta dopo parecchi anni che nel 1903 portò ad un’altra svolta fondamentale con la promulgazione della cosiddetta “Home Rule”. Essa garantiva all’Islanda un governo di tipo parlamentare guidato da un ministro che doveva contare sull’appoggio della maggioranza dell’Alþingi. In mancanza della maggioranza parlamentare o in seguito ad un voto di sfiducia il ministro doveva presentare le proprie dimissioni. Qualche anno successivo, nel 1908 per la precisione, viene anche modificata la legge elettorale. Fino a quel momento infatti i votanti dovevano dichiarare ad alta voce il proprio voto, dal 1908 invece si iniziò a procedere per votazione segreta. Allo stesso tempo subentrarono altre due importanti modifiche: le elezioni erano da tenersi in un unico giorno in tutto il paese e il numero di membri dell’Alþingi fu portato a quaranta unità.
Nel 1915, parallelamente all’inasprirsi del dibattito sull’indipendenza, vengo ratificate altre due importanti modifiche. Per la prima volta infatti anche le donne ottengono il diritto di voto all’interno del paese (la prima donna verrà eletta nel 1922) e i sei rappresentanti danesi che sedevano nella Camera Alta vengono sostituiti da sei rappresentanti locali eletti con un sistema proporzionale. Questi sei rappresentanti vengono eletti con una scadenza ventennale.
Fra il 1918 e il 1944 si muovono i passi finali verso l’agognata indipendenza dell’isola. Il primo passo è sancito dall’ “Atto d’Unione”, in vigore dall’1 dicembre 1918 il quale, per la prima volta nella storia dell’isola, ne sancisce la sovranità islandese. Questa fu una svolta per l’Islanda all’interno della comunità internazionale. Dal 1874 poteva infatti esercitare una sovranità limitata solo in specifiche materie, con l’Atto d’Unione invece rimase prerogativa danese la politica internazionale, la sorveglianza delle coste e le politiche legate alla pesca. Da questo momento l’Alþingi prese in mano l’iniziativa legislativa e il primo atto fu quello di approvare una nuova costituzione (nel 1919), sciogliersi ed eleggere dei nuovi rappresentanti per adottare definitivamente la nuova costituzione (erano infatti necessari passaggi in due legislature differenti per poterla adottare). La “Costituzione del Regno d’Islanda”, con qualche emendamento nel corso di questi anni, traghettò l’isola fino all’indipendenza del 1944. Investiva il re danese di concludere accordi internazionali per il beneficio dell’isola, il numero di membri dell’Alþingi fu portato prima a quarantadue, poi a quarantanove e infine a cinquantadue con una nuova ripartizione proporzionale e l’abbassamento dell’età necessaria per votare a ventuno anni. Infine gli stranieri non potevano diventare cittadini islandesi se non con un apposito atto e i diritti sulle loro proprietà erano specificati in un’apposita legge.
Nell’Atto d’Unione era presente un passaggio il quale affermava che l’Atto stesso poteva esser rivisitato si dalla Danimarca che dall’Islanda dopo venticinque anni dalla stesura della costituzione. Se nei tre anni successivi i due paesi non avessero stilato nessun nuovo accordo, ambi e due i paesi potevano ritirarsi unilateralmente dall’Unione. All’ultimazione di questi passaggi contribuì l’occupazione nazista della Danimarca che nel 1940 accelerò il distacco finale dell’Islanda dalla corona danese. In seguito all’occupazione della Danimarca, l’Alþingi dichiarò la propria responsabilità nella gestione degli affari esteri islandesi e nella sorveglianza delle proprie coste. Il 17 maggio 1941 passò una risoluzione che ammetteva:
questa è l’opinione che l’Islanda abbia acquisito il diritto di terminare il proprio rapporto con la Danimarca.[22]
Esattamente un anno dopo venne formata un’apposita commissione che doveva occuparsi di emendare la Costituzione in modo da traghettarla verso il compito di essere la costituzione di un nuovo stato indipendente. Il 7 aprile 1943 la commissione presentò all’Alþingi la propria proposta sotto forma di progetto di legge per la “Costituzione della Repubblica Islandese”. Le modifiche apportate rispetto alla precedente Costituzione del 1921 erano inerenti alla dichiarazione della propria indipendenza e il cambiamento del capo dello stato, non più il re danese ma un presidente eletto dall’Alþingi. La nuova Costituzione fu adottata il 17 giugno 1944 con una seduta che si tenne a Þingvellir. A distanza di poco più di mille anni dall’apertura del primo Alþingi, nella “pianura del parlamento” prendeva vita la nuova Repubblica d’Islanda.
La Repubblica d’Islanda. La Repubblica Islandese affonda le sue radici nella Costituzione approvata a Þingvellir nel 1944. Il cammino della Costituzione tuttavia risulta abbastanza impervio in quanto in origine era supposta come provvisoria e la volontà di modificarla si manifestò fin dai primi giorni di vita della Repubblica. Nel 1945 l’Alþingi nominò una nuova commissione che affiancasse quella formatasi nel maggio 1942. Prima ancora che questa finisse il suo compito fu affiancata da una terza commissione la quale aveva il compito di revisionare la Costituzione recependo il mandato delle due precedenti commissioni, una volta che queste avessero terminato il proprio. La terza commissione esaurì il proprio compito qualche anno dopo anch’essa senza apportare sostanziose modifiche. Nel maggio 1972 viene nominata una nuova commissione ma anche questa esaurisce il proprio mandato senza un nulla di fatto.
Nella primavera del 1978 l’Alþingi nominò una nuova commissione guidata da una delle figure politiche più prominenti del tempo: Gunnar Thoroddsen. Il lavoro questo nuovo organismo stilò due rapporti. Il primo riguardava la revisione della Costituzione, il secondo della ripartizione dei seggi elettorali. Fra il 1984, con Gunnar Thoroddsen che nel frattempo era stato anche Primo Ministro ed era mancato nel 1983, e il 1991 queste indicazioni vennero man mano recepite. Nel 1995 è stata emendata la parte relativa ai diritti umani e l’ultima modifica risale al 1999 con una ridefinizione delle circoscrizioni elettorali e della ripartizione dei seggi. Nei paragrafi seguenti si analizzeranno le peculiarità della Costituzione, i suddetti emendamenti più nel dettaglio ed il ruolo svolto dal Capo dello Stato il quale viene scelto mediante suffragio universale.
I punti cardine della Costituzione Islandese. La Costituzione adottata nel 1944, con i successivi emendamenti che sono stati adottati, è la base dell’ordinamento costituzionale islandese. Essa è divisa in sette capitoli:
I. la forma di governo e le regole base della Costituzione
II. il Presidente e il potere esecutivo
III. la suddivisione elettorale, le elezioni, il diritto di voto ed eleggibilità
IV. l’Alþingi e le sue funzioni
V. il potere giudiziario
VI. la Chiesa Nazionale, le altre confessioni religiose e la libertà di culto
VII. i diritti umani e le condizioni per emendare la Costituzione
Da questi sette capitoli emergono altrettanti punti cardine che ne costituiscono l’essenza, accomunandola alle Costituzioni delle altre democrazie occidentali e, nel medesimo tempo, facendone risaltare le peculiarità. Uno dei maggiori contributi nello studio della Costituzione islandese è stato dato da Ólafur Jóhannesson, politico islandese di lungo corso e Primo Ministro in due occasioni negli anni ’70 (dal 1971 al 1974 in seguito fra il 1978 e il 1979). I suoi studi costituiscono un punto d’appoggio fondamentale per l’approfondimento della Costituzione islanedse.
Il costituzionalismo. Comparate con la legislazione tradizionale, le clausole costituzionali determinano situazioni particolari. Ad esempio le modifiche alla Costituzione per essere effettive richiedono la ratifica da parte di due legislature differenti e che nel mezzo vi sia stata almeno una tornata elettorale.
Nonostante ciò e nonostante la Costituzione islandese appaia più elaborata rispetto a quella di altri paesi, in realtà appartiene al gruppo delle costituzioni il cui emendamento risulta meno difficoltoso. Qualunque sia l’oggetto della materia in discussione, non sono necessarie maggioranze qualificate affinché il progetto di legge venga approvato. Per contro, ad esempio, negli altri stati nordici sono previste maggioranze qualificate al pari della doppia approvazione in due legislature differenti.
Dal 1944 ad oggi inoltre non si sono mai tenuti di referendum per il suo emendamento. Gli unici casi in cui è previsto un referendum sono se il Presidente pone il suo veto su una proposta di legge, se l’Alþingi decide di intervenire sull’organizzazione della Chiesta di Stato e se il Parlamento chiede le dimissioni del Capo dello Stato.
A questo proposito è necessario ricordare che da quando è in vigore l’attuale Costituzione il Presidente ha esercitato il proprio veto solamente una volta e per altro in tempi molto recenti. Ciò è accaduto il 2 giugno 2004 quando l’attuale presidente Ólafur Grimsson ha posto il veto su una proposta di legge relativa ai mass media votata in Parlamento. Sebbene ciò sia previsto dall’art. 26 della Costituzione, Grimsson non è stato esentato da critiche e gli stessi islandesi hanno manifestato il proprio disappunto alle urne per la tornata presidenziale successiva. Infatti, per le elezioni presidenziali tenutesi lo stesso anno, c’è stata un’affluenza al voto inferiore di quasi il 20% che è stata letta come il dissenso degli islandesi verso la sua azione. Va infine ricordato che, nonostante il veto posto dal presidente, si è evitato il referendum anche in questa circostanza grazie all’intervento del governo che ha provveduto ha modificare la proposta di legge.
La forma di governo repubblicana. Il primo articolo della Costituzione sancisce che:
L’Islanda è una Repubblica con un governo parlamentare[23]
Ólafur Jóhannesson scrisse che in una Repubblica il Capo dello Stato deve essere nominato direttamente o indirettamente dai cittadini. Allo stesso tempo però affermare che uno stato è dotato di una forma di governo parlamentare non è sufficiente per stabilirne i suoi fondamenti legati al parlamentarismo. In realtà quanto espresso nel primo articolo enuncia solo una piccola parte della forma di governo dell’Islanda, la quale viene disciplinata in maniera più approfondita negli articoli successivi.
La separazione dei tre poteri. Gli studiosi concordano sul fatto che il principio di separazione dei poteri abbia influenzato la stesura della Costituzione islandese. Il secondo articolo della Costituzione riporta che:
L’Alþingi congiuntamente al Presidente dell’Islanda esercitano il potere legislativo. Il Presidente e altre autorità governative, come previsto da questa Costituzione e in altre leggi, esercitano il potere esecutivo. I Giudici esercitano il potere giudiziario.[24]
Sempre Jóhannesson però afferma che la separazione dei poteri, così come descritta nel secondo articolo, risulta imperfetta poiché il potere esecutivo è intuitivamente definito come il denominatore comune di ciò che non rientra nel potere legislativo e in quello giudiziario.
Inoltre l’esperienza ultrasessantennale di applicazione della Costituzione ha evidenziato diversi squilibri nel bilanciamento dei poteri. Ad esempio la forza dell’Alþingi, oltre che nella sua applicazione legislativa, viene espressa anche per l’importanza che riveste nelle decisioni di tipo finanziario, come del resto avviene in tutti i sistemi parlamentari. Tuttavia nel caso islandese l’importanza del Parlamento può essere compresa solo riferendosi al suo percorso storico. Dal 1845 in poi infatti l’Alþingi è stato l’unica istanza dove si è svolta la battaglia per ottenere l’indipendenza dalla Danimarca e il potere esecutivo non fu trasferito sull’isola se non nel 1903 quando Hannes Hafstein diventò il Ministro per gli Affari Islandesi. Per lungo tempo quindi l’Alþingi è stato il fulcro e l’unico punto di riferimento politico per l’isola.
Un’altra problematica relativa alla separazione dei poteri riguarda la disciplina giudiziaria islandese. Per molto tempo infatti nessuno obiettò sul fatto che spettava alla stessa parte investigare e giudicare su un caso. Lo stesso Jóhannesson puntualizzò nei suoi studi che era necessario in futuro distinguere più chiaramente fra queste due funzioni e disciplinare la materia in un altro modo. Tuttavia nel caso di tal Jón Kristinsson la stessa Corte Suprema non ebbe niente da obiettare al riguardo che la Corte di Distretto si occupasse sia delle indagini che del giudizio e il suo avvocato non poteva trovare conforto nel secondo articolo della Costituzione citato in precedenza.
Questo difetto venne scardinato dall’avvocato difensore di Kristinsson che fece notare come questa procedura configgesse con il sesto articolo della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. La Corte Suprema non accettò questa argomentazione cosicché l’avvocato di Kristinsson si rivolse alla Commissione Europea per i Diritti Umani. Questa concluse che la violazione del sesto articolo sussisteva e le autorità islandesi modificarono la legge che entrò in vigore nel 1992.
Parlamentarismo. Il parlamentarismo in Islanda è basato primariamente su una tradizione che è in voga fin dall’insediamento del Ministro per gli Affari Islandesi nel 1904. La Costituzione non prevede un reinsediamento del Governo dopo la perdita della maggioranza o un voto di sfiducia da parte dell’Alþingi. Lo stesso Jóhannesson, quando ricopriva il ruolo di Primo Ministro, fu aspramente criticato quando sciolse il Parlamento e fu accusato di aver dimostrato disprezzo verso una delle regole base dell’ordine costituzionale islandese. L’accusa era mossa sull’idea che Jóhannesson avesse sciolto il Parlamento per mantenere il governo nonostante non fosse più in possesso della maggioranza parlamentare.
Tuttavia all’interno della Costituzione il concetto di parlamentarismo è rilevato relativamente. Il primo articolo che cita come l’Islanda sia una Repubblica Parlamentare è ricavato dalla precedente Costituzione del 1921 dove nel primo articolo si sanciva come l’Islanda fosse una monarchia limitata da un governo parlamentare. L’esperienza al riguardo è stata altalenante e contingente alle situazioni verificatesi. Jóhannesson ha denotato come il ruolo del Parlamento abbia una priorità benché questa non sia esplicitata dalla Costituzione, ad esempio nel caso dell’articolo 15:
Il Presidente nomina i Ministri e li solleva dal loro incarico. Egli ne determina il numero e il ruolo che devono ricoprire.[25]
Benché l’Alþingi non venga citato, in tali situazioni ha fatto sentire il proprio peso. Tuttavia l’incostanza dell’esperienza, la mancanza di un dibattito sul tema e di una legislazione più specifica rende impossibile indicare una prassi al riguardo.
Democrazia. Nella Costituzione islandese non c’è alcun passaggio che afferma esplicitamente che l’Islanda debba essere una democrazia. Vi sono alcuni riferimenti che affermano che la rappresentatività democratica è uno dei principi di base dell’ordinamento democratico islandese, tuttavia dire che la Costituzione non abbia una chiara tendenza verso la democrazia non risulterebbe scorretto. Ciò è vero nel merito che alcuni passaggi relativi a questa questione avrebbero dovuto esser sviluppati maggiormente.
Un’altra divergenza che si nota in questo senso è che, come già notato in precedenza, nella Costituzione l’istanza del referendum non è prevista al di fuori di specifiche circostanze. Quando in Parlamento vengono proposti degli emendamenti alla Costituzione, la proposta di legge solitamente è accompagnata alla richiesta di un referendum. Il non essere mai ricorsi a questa istanza è stato visto dagli studiosi come un implicito messaggio di fiducia da parte dei cittadini islandesi nei confronti dei propri rappresentanti.
Autodeterminazione. Diversamente da quanto concepito da altre costituzioni, la Costituzione islandese afferma che i poteri di governo affondano le loro radici nella gente. D’altronde, il plebiscito con cui a Þingvellir venne accolta la Costituzione del 1944 spiega e aiuta a comprendere le ragioni di questo passaggio. La Costituzione è stata fortemente supportata e voluta poiché legata allo stabilimento di una nuova Repubblica indipendente. I passaggi sulle elezioni del Parlamento e, soprattutto, del Capo dello Stato da parte dei cittadini (terzo articolo della Costituzione) esprimono questo concetto.
Tutela dei diritti umani. Questa parte verrà approfondita nel paragrafo successivo relativo agli emendamenti costituzionali. La disciplina della Costituzione relativa ai diritti umani infatti è stata emendata di recente (1995), questa era immutato dal 1874 ed era addirittura ispirata alla parte sui diritti umani contenuta nella Costituzione Danese del 1847.
Gli emendamenti costituzionali. Dal 1944 ad oggi la Costituzione islandese è stata emendata per quattro volte ed in tempi recenti (1984, 1991, 1995 e 1999)[26], ciò però non deve fuorviare dal fatto che il dibattito circa la sua natura e le possibili modifiche da apportare ha avuto origine fin dalla sua adozione. Questo dibattito era stato inizialmente avviato da due eminenti protagonisti dalla politica islandese del periodo post bellico, il social democratico Gylfi Gíslason e il già citato Ólafur Jóhannesson attestato su posizioni più centriste. Quest’ultimo era a favore di un irrobustimento del potere del Presidente, di limitare il portafoglio dei singoli membri del Parlamento e dell’introduzione di un sistema elettorale basato su collegi uninominali. Per contro Gíslason proponeva un Presidente eletto dal popolo con il compito di nominare il governo, intendeva impedire ai deputati dell’Alþingi di proporre nuove spese a meno che questi proponessero allo stesso tempo il modo in cui reperire le risorse, voleva impedire ai partiti politici di nominare i propri favoriti a capo delle commissioni parlamentari ed era a favore della divisione dell’isola in cinque circoscrizioni elettorali per mantenere la proporzionalità del voto.[27]
Nonostante fossero due posizioni apparentemente molto distanti il loro fine era comune, ovvero quello di evitare l’ingovernabilità politica dell’isola. A questo proposito va ricordato che era ancora molto recente l’esperienza del governo tecnico che Sveinn Björnsson era stato costretto a nominare fra il 1942 e il 1944 a causa della litigiosità dei partiti. Nonostante il dibattito avviato le uniche modifiche che vennero apportate in questo periodo sono un ampliamento dei confini delle circoscrizioni elettorali e l’eliminazione dei collegi dove venivano elette solo una o due persone (1959) e l’abbassamento del diritto di voto alle persone di 20 anni compiuti (1969).
La situazione cambiò sensibilmente quando dieci anni più tardi viene messo a capo della commissione costituzionale un politico di lungo corso, Gunnar Thoroddsen. Il lavoro della commissione fu notevole e partorì molte novità e cambiamenti da introdurre a cui però non seguì un dibattito parlamentare. Ad ogni modo era solo questione di tempo, l’insieme di proposte partorite dalla commissione Thoroddsen fu lo spunto per gli emendamenti che vennero ratificati nel 1984 e nel 1991.
Curiosamente fu Vilmundur Gylfason, figlio di Gylfi Gíslason, a riaprire il dibattito nel 1982, periodo nel quale l’Islanda stava attraversando un momento di forte inflazione. Le sue proposte erano di concedere più poteri al Primo Ministro e di migliorare la separazione dei pubblici poteri per ridurre i problemi di corruzione che li affliggevano. Sebbene sia Gylfason che Thoroddsen mancarono nel 1983, l’anno successivo la Costituzione fu finalmente emendata e le modifiche più importanti furono le seguenti:
1. un ulteriore perfezionamento della divisione delle circoscrizioni elettorali e il passaggio da 60 a 63 deputati
2. l’abbassamento del limite d’età per usufruire del diritto di voto a 18 anni
3. condizioni più severe per l’introduzioni di leggi provvisorie
4. introduzione della figura dell’ombudsman (che sarà effettiva dal 1987)
Queste modifiche furono ultimate nel 1991:
1. abolizione della suddivisione in Camera Alta e Camera Bassa dell’Alþingi e passaggio ad un sistema di tipo unicamerale
2. l’immediata separazione del potere amministrativo da quello legislativo e giudiziario nel governo dei distretti (anche in riferimento al succitato caso Kristinsson)
3. il cambiamento della durata dei lavori dell’Alþingi, la loro convocazione, l’aggiornamento e il scioglimento di quest’ultimo
Il successivo emendamento risale al 1995 e, come riferito in precedenza, ha come materia esclusiva quella della tutela dei diritti umani. Già Ólafur Jóhannesson nel 1946 aveva sollevato dei dubbi e manifestato la necessità di modificare questa disciplina.[28] La sua era una posizione condivisa, ma affinché si muovesse qualcosa si è dovuto attendere fino al 1991. In quell’anno si formò una coalizione di governo formata da Partito dell’Indipendenza e Partito Social Democratico e il loro manifesto di intenti fu il seguente:
Durante questo mandato l’Islanda festeggerà i cinquanta anni dell’avvento della Repubblica. Il governo suggerirà all’Alþingi di nominare un’apposita commissione per la ricorrenza in modo da celebrarla nella dovuta maniera. Fra i più importanti progetti da completare vi è quello della revisione della Costituzione, il Governo farà quanto in suo potere affinché ciò sia realizzato entro il 1994.[29]
Questa comunione di intenti in realtà fu parzialmente realizzata. Il 17 giugno 1994 l’Alþingi con una sessione che si tenne a Þingvellir emendò il capitolo della Costituzione sui diritti umani.
Il 5 aprile dello stesso anno era stato presentato un progetto di legge atto a modificare il suddetto capitolo, ma nessun accordo era stato raggiunto prima della sessione della cerimonia e come questa fu finita si riprese a lavorare su un nuovo testo. I negoziati ripresero in maniera molto riservata e al riguardo si ebbero poche notizie finché non fu nuovamente presentato il 19 dicembre 1994. Il testo fu spedito ad alcune organizzazioni ed associazioni che lo analizzassero entro il 21 gennaio. La commissione costituzionale ricevete numerosi commenti e il testo fu caldamente discusso dai media locali. L’argomento di maggior discussione fu che, visto che la commissione non aveva ancora promosso la proposta di legge, poteva essere adottato il testo della Convenzione Internazionale sui Diritti Umani che l’Islanda aveva ratificato. Nel confronto con la Costituzione del 1944 il nuovo testo era stato completato con l’aggiunta dei seguenti punti:
1. eguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge
2. le condizioni per la perdita della cittadinanza islandese
3. l’impossibilità della negazione della libertà a chiunque, eccetto che per il perseguimento di una legge. In questo caso la persona arrestata deve essere informata circa le ragioni dell’arresto. Se una persona viene privata erroneamente della propria libertà, questa ha diritto ad una compensazione
4. la proibizione di maltrattamenti e punizioni, la proibizione dei lavori forzati
5. la proibizione di atti penali retroattivi
6. il diritto a condizioni minime per la sopravvivenza
7. la privacy della casa e della famiglia
8. la libertà di espressione
9. la libertà negativa di associazione (ovvero la possibilità di rifiutare l’associazione a qualsiasi tipo di organizzazione)
10. i diritti delle persone concernenti lavoro e ferie devono essere disciplinati per legge
11. la cura e la protezione dei bambini deve essere assicurata
12. proibizione della retroattività della tassazione
Alcune importanti modifiche vennero apportato prima che la proposta di legge fosse approvata per la seconda volta dal Parlamento. Ad esempio è stata aggiunta una parte sulla proibizione di ogni forma di discriminazione fra uomo e donna e un’altra relativa alla libertà di espressione e l’impossibilità della sua soppressione se non in circostanze particolari e disciplinate dalla legge. Con queste aggiunte la Costituzione Islandese si è preparata per affrontare le insidie del nuovo millennio.
Per quanto riguarda l’emendamento del 1999 delinea le sei nuove circoscrizioni elettorali e introduce ulteriori modifiche al sistema elettorale che è quello in vigore tutt’oggi. Di questo argomento si tratterà nel capitolo successivo relativamente all’Alþingi e alla distribuzione dei deputati.
L’Alþingi. La storia e l’evoluzione del Parlamento Islandese fino ai giorni più recenti è stata analizzata nei capitoli precedenti. Per quanto riguarda la composizione attuale dell’Alþingi vi siedono 63 deputati, eletti da tutti i cittadini islandesi legalmente domiciliati sull’isola e con età maggiore di 18 anni. L’Islanda conta generalmente su un’ampia partecipazione al voto, alle elezioni del 2003 su un elettorato di 211.000 persone si è recato ai seggi ben l’87,7%.[30]
Prima delle ultime elezioni del 2003 è stato apportata una modifica al sistema delle circoscrizioni elettorali. Sono attualmente sei:
I. circoscrizione del nord-est
II. circoscrizione nord ovest
III. circoscrizione sud
IV. circoscrizione sud ovest
V. circoscrizione di Reykjavik Nord
VI. circoscrizione di Reykjavik Sud.
Ogni circoscrizione elettorale elegge sei deputati i quali sono selezionati secondo il metodo d’Hondt (ovvero il numero dei voti ottenuti da ogni partito viene progressivamente diviso per uno, due, tre, ecc fino a giungere al numero di seggi da assegnare, assegnando i seggi disponibili in base ai risultati decrescenti). I restanti 9 posti, chiamati “seggi equalizzatori”, vengono distribuiti ai partiti politici in modo da rendere la rappresentanza in Parlamento il più proporzionale possibile rispetto all’esito del voto. La disciplina della Costituzione al riguardo, adottata nel 1999, prevede che ad ogni circoscrizione elettorale vengano assegnati non meno di sei seggi e non più di sette. Sebbene i confini delle circoscrizioni siano fissati dalla legge, il comitato elettorale nazionale è autorizzato a fissarne di nuovi per quanto riguarda la zona di Reykjavik e della sua periferia. La definizione dei confini e la disposizione dei seggi parlamentari può essere modificata solo mediante approvazione da parte dei due terzi dell’Alþingi.
In seguito ad ogni elezione se il numero degli elettori di un seggio elettorale è rappresentato da un numero di deputati (inclusi quelli ”equalizzanti”) minore della metà di quello di quello di un qualsiasi altro seggio elettorale, il comitato elettorale nazionale è chiamato ad intervenire per ridurre questo squilibrio.
Vi è inoltre uno sbarramento del 5% per poter usufruire dei cosiddetti seggi equalizzanti. Stando alle ultime elezioni tenutesi il 25 aprile 2009 in Parlamento siedono cinque partiti[32]:
PARTITO | VOTI | % | SEGGI |
Alleanza Socialdemocratica |
55.758 |
29.8 |
20 |
Partito dell’Indipendenza |
44.369 |
23.7 |
16 |
Sinistra – Movimento dei Verdi |
40.580 |
21.7 |
14 |
Partito Progressista Islandese |
27.699 |
14.8 |
9 |
Movimento dei Cittadini |
13.519 |
7.2 |
4 |
Partito Liberale Islandese |
4148 |
2.2 |
0 |
Movimento Democratico |
1107 |
0.6 |
0 |
Stando alla Costituzione il ruolo dell’Alþingi è quello, insieme al Presidente della Repubblica, di detenere il potere legislativo. Tuttavia i dibattiti che si svolgono al suo interno possono andare anche oltre la discussione sui progetti di legge. Ad esempio si svolgono interrogazioni ai ministri del governo su specifiche materie e questi sono tenuti a rispondere oralmente o per iscritto. Sempre i ministri sottopongono al Parlamento, di loro iniziativa o per richiesta di quest’ultimo, vari resoconti su materie di pubblico interesse.
Nella Costituzione e nelle leggi procedurali sono disciplinate le funzioni dell’Alþingi, la sua organizzazione, il lavoro delle commissioni, la conduzione dei lavori, le procedure delle sedute e l’attività dei partiti.
Le sessioni parlamentari vengono convocate il primo di ottobre di ogni anno, momento in cui inizia una nuova sessione legislativa e terminano lo stesso giorno dell’anno successivo. L’apertura di ogni sessione spetta al Presidente della Repubblica e, stando ad una tradizione che è rimasta invariata dal 1845 ad oggi, i deputati si radunano nella cattedrale di Reykjavik. In precedenza l’apertura della sessione spettava ad un rappresentante dell’amministrazione reale.
I dibattiti si tengono nella camera dell’Alþingi, all’inizio di ogni sessione i deputati prendono posto nei rispettivi scranni mentre i ministri si siedono nelle apposite poltrone ministeriali. I dibattiti sono presieduti dal Presidente dell’Alþingi il quale è assistito dal Segretario Generale e dal suo staff. Il ruolo primario del Presidente dell’Alþingi è quello di far sì che tutte le regole procedurali vengano rispettate. In secondo luogo è una delle figure, insieme al Primo Ministro e al Presidente della Corte Suprema, deputate alla sostituzione del Capo dello Stato in caso di sua assenza.
L’elezione del Presidente della camera è il primo atto che viene compiuto all’inizio di ogni sessione dell’Alþingi, viene scelto mediante un accordo preso in precedenza dai partiti politici e ha diritto di voto. Il Presidente decide l’agenda dell’assemblea di comune accordo con i suoi vice e i portavoce dei partiti presenti in Parlamento. Tuttavia è sua l’ultima parola e il suo staff si occuperà delle preparazioni per i vari dibattiti. Il suo compito è quello di tutelare e proteggere gli interessi di ogni parte politica e riservare eguale trattamento a tutti i deputati. Per partecipare alla discussione deve cedere temporaneamente la sua poltrona ad uno dei vice presidenti. Infine egli rappresenta l’Alþingi al di fuori dell’assemblea.[33]
Come già affermato in precedenza il dibattito parlamentare è disciplinato da precise regole come quante volte può intervenire un deputato e per quanto tempo. Il deputato o il portavoce di una commissione che propone il disegno di legge può intervenire non più di tre volte durante il dibattito mentre a tutti gli altri deputati sono concessi solo due interventi. Per quanto concerne il ministro competente in materia invece può intervenire ogni qual volta lo ritenga necessario. Il tempo dell’intervento è limitato solo per quanto concerne la prima lettura, per la seconda e la terza lettura invece non vi sono limiti temporali.
Discussioni impreviste necessitano del consenso del Presidente dell’Alþingi che le può ammettere se le ritiene importanti o necessarie di una discussione urgente. Si dividono in due tipi, di corta durata o di lunga durata. In quelle di corta durata la discussione dura al massimo mezzora. In quelle di lunga durata il deputato che propone la discussione e il ministro competente hanno a disposizione mezzora a testa per il proprio intervento, gli altri deputati hanno diritto a quindici minuti di intervento e ognuno può intervenire al massimo per due volte.
L’Alþingi può anche dichiarare la propria posizione su argomenti su cui non si è ancora legiferato. Ciò avviene mediante la risoluzione parlamentare per spingere il governo ad intervenire in un preciso ambito. Per le risoluzioni parlamentari sono previste due letture nel mezzo delle quali sono inviate alle rispettive commissioni. Per la prima lettura il tempo è limitato, per la seconda invece non ci sono limiti.
Ai dibattiti spesso prende parte un numero relativamente esiguo di deputati. Il motivo di ciò è che i partiti tendono a dividere le responsabilità in specifiche materie fra i propri rappresentanti cosicché alle discussioni partecipano coloro che sono più preparati sull’oggetto in discussione. In seconda battuta spesso gli accordi fra le varie parti politiche vengono prese ancora prima che il dibattito abbia luogo. Infine i deputati che non partecipano al dibattito possono seguire il lavoro sulla televisione a circuito chiuso collegata con l’aula, permettendo loro nel frattempo di prepararsi a successivi interventi o elaborare resoconti per le commissioni di cui fanno parte.
La procedura di voto gode di alcuni aiuti elettronici. Quando si sta per tenere una votazione il Presidente attiva un segnale che si diffonde in tutto lo stabile per richiamare i deputati al voto. Senza la presenza di almeno la metà dei deputati il Parlamento non può legiferare.
Le decisioni sono prese a maggioranza e in caso di voto elettronico ogni deputato ha a disposizione tre bottoni da premere: un bottone per dichiararsi a favore, uno per dichiararsi contrario e uno per astenersi. Si vota anche per alzata di mano o tramite la “roll call” ovvero la chiamata del Presidente di ogni singolo deputato il quale deve esprimere il proprio voto e può anche spiegare brevemente il motivo della sua posizione.
Nel caso vi sia una maggioranza risicata ed è chiaro che dei deputati non abbiano potuto votare per motivi di forza maggiore, i capigruppo dei partiti si riuniscono e chiedono ad uno o più deputati della minoranza di allontanarsi al momento del voto. Questo viene fatto perché solitamente l’assenza di un singolo membro non basta per cambiare l’esito del voto. Sebbene possa essere una pratica di difficile comprensione per chi è abituato alle continue schermaglie che avvengono nelle aule del Parlamento italiano, in Islanda e negli altri paesi limitrofi la collaborazione fra i vari capigruppo è un costume diffuso.
Nel caso in cui il Presidente si aspetti che tutti i deputati votino a favore di un accordo, può proporre di passare direttamente alle conclusioni se nessuno ha niente da obiettare. Questa procedura è usata sovente per le questioni inerenti all’ordine dei lavori.
I diversi deputati che rappresentano un partito in Parlamento formano un gruppo e scelgono a loro interno un capogruppo che ha il compito di trattare con il Presidente dell’assemblea, con gli altri capigruppo e i deputati degli altri partiti. Per formare un gruppo parlamentare è necessario che questo sia composto da almeno due deputati e un singolo deputato non può essere affiliato a più di un gruppo. Come anticipato nei paragrafi precedenti, all’interno del singolo gruppo parlamentare vengono disciplinate le competenze dei singoli deputati affinché ognuno di questi si occupi di materie specifiche. Ovviamente l’azione del gruppo parlamentare varia sensibilmente nel caso che questi si trovi al governo o all’opposizione.
All’interno del gruppo vengono anche individuati i deputati da inserire nelle varie commissioni e chi scegliere come portavoce a seconda della materia che si discute durante una seduta. I gruppi parlamentari si riuniscono sovente per fissare la propria agenda politica da sottoporre all’Alþingi, fare il punto della situazione sui lavori portati avanti dalle commissioni e le posizioni da adottare o gli emendamenti da proporre sulle proposte di legge al vaglio. In questo modo ci sono anche scambi di informazioni fra i vari deputati che seguono materie differenti. Di solito la cadenza con cui si riuniscono è di due volte alla settimana e, nella maggior parte dei casi, ogni singolo gruppo si presenta in aula con una posizione ben definita.[34]
Nei paragrafi precedenti si è più volte accennato al lavoro delle commissioni all’interno del Parlamento. Nell’Alþingi siedono undici commissioni permanenti che sono rispettivamente:
I. commissione generale
II. commissione dell’economia e del commercio
III. commissione per gli affari sociali
IV. commissione per il bilancio
V. commissione per la salute e la sicurezza sociale
VI. commissione per l’industria
VII. commissione per l’agricoltura
VIII. commissione per l’educazione
IX. commissione per i trasporti e le comunicazioni
X. commissione per la pesca
XI. commissione per l’ambiente
XII. commissione per gli affari esteri
A queste va aggiunta la commissione per le credenziali la quale ha il compito di investigare le credenziali dei nuovi eletti o dei deputati che subentrano a legislatura in corso.[35]
L’elezione delle commissioni avviene all’inizio della sessione parlamentare e riflette le proporzioni dei partiti che siedono in Parlamento. Nel caso un gruppo parlamentare non sia rappresentato all’interno di una commissione, i membri di questa commissione possono accettare che il partito in questione invii un proprio osservatore che assista ai lavori. Ogni commissione elegge un proprio presidente ed un proprio vice presidente che possono essere rappresentanti sia della maggioranza che dell’opposizione. Ogni commissione si riunisce quattro volte alla settimana durante le sedute dell’Alþingi a parte che per la commissione per gli affari esteri la quale, vista l’importanza strategica della materia che tratta e l’importanza dei suoi consigli per il governo, può decidere di riunirsi indipendentemente dall’attività del Parlamento.
Il lavoro delle commissioni si svolge in apposite camere. I membri di una commissione possono richiedere ad altri deputati o a specialisti di inviare pareri scritti sulla materia oggetto di studi o invitarli ad assistere ad alcune riunioni. Quando la commissione conclude la propria discussione sulla proposta di legge o sulla risoluzione da adottare, sovente allega un parere scritto con il quale consiglia ai membri dell’Alþingi come affrontare la questione. Nel caso accada che all’interno della commissione non emerga una posizione unitaria, può succedere che questa presenti più di un’opinione. Se la commissione riceve una proposta di legge dopo la seconda lettura, questa può allegare un’ulteriore opinione con la quale i suoi membri si possono schierare a favore o contro la posizione emersa durante il dibattito. Infine la commissione può presentare una proposta di legge su un argomento riguardante la propria materia di competenza.
I membri dell’Alþingi collaborano in maniera diretta anche alla cooperazione internazionale mediante le relative associazioni a cui l’Islanda è affiliata come ad esempio l’EFTA, la NATO, il Consiglio Nordico, ecc. In totale sono nove le delegazioni permanenti di queste organizzazioni, ad ognuna delle quali partecipano dai tre ai sette deputati. Questi devono preparare rapporti delle materie che trattano, risoluzioni e anche nuove proposte. Il lavoro che viene svolto all’interno delle commissioni internazionali serve per esternare il punto di vista islandese sulle varie questioni per cui spesso si superano le tensioni fra partiti. Ogni commissione internazionale deve stilare un rapporto annuale da presentare in Parlamento circa l’attività svolta, i viaggi intrapresi e gli accordi conclusi.
A questi lavori partecipano anche le commissioni permanenti citate in precedenza. Alla luce della recente crisi affrontata dall’Islanda, un lavoro fondamentale è svolto dalla commissione per gli affari esteri che è in contatto permanente con il Parlamento Europeo. Questa importanza è dettata a maggior ragione dalla volontà dell’attuale governo, guidato dalla leader socialdemocratica Johanna Sigurdardottir, di avviare i negoziati d’adesione all’Unione Europea nel più breve tempo possibile (si parla di un eventuale ingresso già nel 2011).[36]
Infine l’Alþingi è affiancato da altre due istituzioni di propria nomina. Queste sono l’ufficio nazionale per la revisione dei conti e l’ombudsman. Il primo ha una funzione di vigilanza verso tutti gli enti che percepiscono fondi statali come i servizi pubblici o quelle imprese che sono controllate per il 50% o più da parte dello Stato. Il suo compito è quello di vegliare sul corretto utilizzo dei fondi e può lavorare di comune accordo con le commissioni parlamentari che si occupano di finanza pubblica. I revisori sono nominati dal Presidente dell’Alþingi e dai suoi vice per un mandato di sei anni. I revisori svolgono il loro lavoro autonomamente e non sono soggetti al controllo da parte del Parlamento, tuttavia quest’ultimo può richiedere resoconti sull’attività dell’ufficio.
Per quanto riguarda l’ombudsman è un’istituzione tipica delle democrazie dei paesi del nord. In Islanda è attivo a partire dal 1987 e il suo compito è quello di controllare e supervisionare il lavoro che viene svolto dagli enti locali e nazionali, proteggendo i cittadini da eventuali disfunzioni delle suddette amministrazioni. La sua azione è determinata da richieste indirizzate direttamente a lui e che lui stesso si occupa di selezionare, nel suo lavoro non prende ordini da nessun organismo, nemmeno dal Parlamento. Gode di un ampio margine d’azione, può rivolgere domande alle autorità coinvolte ed avere accesso a documenti, rapporti e a tutto il materiale passibile d’attenzione per la sua indagine. Le sue conclusioni sono generalmente accettate dalle autorità coinvolte e quando ciò non avviene, l’ombudsman può consigliare alla parte in causa di procedere con un’azione legale. Chiunque vi si può rivolgere mediante una richiesta scritta ed esiste anche un apposito staff che aiuta il richiedente a redigere la propria lamentela. L’ombudsman viene nominato per un periodo di quattro anni dall’Alþingi.[37]
Il Presidente e l’esecutivo. L’Islanda, come specificato nel primo articolo della sua Costituzione, gode di una forma di governo parlamentare. Tuttavia l’elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica potrebbe far supporre che questa istituzione goda di particolare influenza nella scelta dell’indirizzo politico del paese, ma così non è. Il Presidente islandese viene eletto a suffragio universale in un turno unico a maggioranza relativa per un periodo di quattro anni. Queste elezioni sono caratterizzate dalla mancanza di politicizzazione delle stesse nel senso che i partiti non supportano nessun candidato, anche quando questo provenga dalle proprie file. La scelta dell’elettorato è influenzata più dalle qualità personali dei candidati e nelle due uniche occasioni in cui i candidati sono stati apertamente sostenuti da un partito, sono stati irrimediabilmente bocciati. Il caso più eclatante risale al 1952 quando il Partito Progressista e il Partito dell’Indipendenza, i quali congiuntamente avevano ottenuto il 64% nella precedente tornata elettorale, sostennero apertamente la candidatura di un vescovo e potevano contare anche sull’appoggio di una parte considerevole della stampa. Tuttavia la scarsa esperienza politica di questo candidato ne determinò la sconfitta nelle urne: la spuntò Ásgeir Ásgeirsson (che vantava una lunga militanza all’interno del Parlamento ed era stato anche Primo Ministro per due anni) con il 48,3% dei voti contro i 44,7% del chierico.[38]
Un’altra peculiarità delle elezioni presidenziali è la possibilità di non ricorrervi nel caso si presenti un unico candidato. Questa situazione si è verificata ogni volta che il Presidente in carica si è riproposto anche per il mandato successivo. Considerando che, dall’indipendenza del 1944 ad oggi, si sono succeduti solamente cinque Presidenti e che questi hanno rinnovato il proprio mandato dalle due alle quattro volte, le elezioni presidenziali sono state più un’eccezione che una prassi.
L’umiliazione patita nel 1952 dai due partiti di maggioranza di allora ha fatto si che nelle elezioni successive nessun candidato fosse scelto o supportato da una piattaforma politica. La competizione fra i candidati si è cosi trasformata in una competizione personale dove si scontrano i propri meriti personali e dove conta soprattutto l’appeal personale. Anche per questo motivo durante la campagna elettorale i candidati devono rincorrere i rumors sul proprio conto, spesso falsi, messi in giro dai propri avversari.
Per quanto concerne il ruolo del Presidente una volta eletto, esso è soprattutto di garanzia. A questo proposito va ricordato come la figura del Presidente così come presentata nella Costituzione del 1944 è stata desunta da quella del Re di Danimarca il quale, negli anni precedenti l’ottenimento dell’indipendenza, era stato ormai svuotato di ogni potere nei confronti dell’Islanda.
Secondo la Costituzione il Presidente condivide con il Parlamento il potere legislativo con il Parlamento, di fatto il suo ruolo è quello di controfirmare le proposte di legge che vengono votate durante le sessioni dell’Alþingi. Gode si della possibilità di esercitare il potere di veto, prevista dall’art. 26 della Costituzione, ma questa istanza è stata utilizzata solamente una volta dal 1944 ad oggi e per altro in tempi recenti (ovvero il 2 giugno 2004 quando il Presidente Grimson ha rifiutato di sottoscrivere una legge relativa ai mass media. Tuttavia, benché prevista, anche in questa occasione è stata evitata la consultazione referendaria grazie al tempestivo intervento del Governo).[39] Il Presidente ha anche diritto all’esercizio di iniziativa legislativa anche se questo, come gli altri poteri imputati al Capo dello Stato, sono esercitati dal Governo, così come espresso dall’art. 13 della Costituzione:
Il Presidente affida la propria autorità ai Ministri[40]
Secondo l’art. 28 della Costituzione il Presidente può emanare decreti provvisori in caso di urgenza quando l’Alþingi non è in sessione. Tuttavia questi non devono andare contro la Costituzione e devono essere approvate dal Parlamento nel più breve tempo possibile. Se ciò non avviene entro sei settimane il decreto presidenziale decade.
Un’importante prerogativa del Presidente è quella di mettere ordine nel funzionamento dei pubblici poteri, tuttavia l’unica volta che ciò si è verificato risale al periodo 1942-1944 sotto la reggenza di Sveinn Björnsson quando, davanti alla litigiosità dei partiti eletti in Parlamento e la conseguente impossibilità di formare un governo stabile, Björnsson decise di nominare un governo di tecnici.[41]
Il Presidente gioca un ruolo importante nella formazione del governo. In Islanda mai nessun partito è riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti ed inoltre la prefigurazione di eventuali coalizioni di prassi si manifesta a voto concluso. Il Presidente convoca il leader del partito che ha ottenuto la maggioranza relativa durante la consultazione elettorale e a questo dà l’incarico di trattare con gli altri partiti. Se costui non riesce nel suo intento il Presidente procederà in subordine convocando i leader degli altri partiti fino al momento in cui emerge la figura in grado di formare una maggioranza di governo. A questo proposito va ricordato che non è raro per gli islandesi esser governati da coalizioni di partiti non contigui.
Nella pratica del potere esecutivo l’iniziativa spetta al Primo Ministro e ai ministri che compongono il gabinetto. Sebbene sia previsto che anche il Capo dello Stato condivida con il gabinetto tale prerogativa, il suo ruolo si manifesta soprattutto nell’atto della formazione del Governo dopodiché mantiene una posizione marginale. I Ministri che compongono il Governo sono di numero variabile che ruota intorno alla decina e spesso ricoprono più mansioni (attualmente sono undici: Ministro degli Affari Commerciali, Ministro delle Comunicazioni, Ministro dell’Educazione, Scienza e Cultura, Ministro dell’Ambiente, Ministro delle Finanze, Ministro della Pesca e dell’Agricoltura, Ministro per gli Affari Esteri, Ministro della Salute, Ministro dell’Industria, Energia e Turismo, Ministro della Giustizia e degli Affari Ecclesiastici, Ministro degli Affari Sociali e della Sicurezza). Come visto in precedenza, il Governo media di continuo le proprie posizioni con l’Alþingi e con le commissioni nominate da quest’ultimo e può continuare nel suo operato finché gode della sua fiducia.
Il sistema giudiziario. La Corte Suprema d’Islanda è stata fondata nel 1919 e ha tenuto la sua prima sessione il 19 febbraio del 1920. La Corte detiene il più alto potere giudiziario dell’isola dove il sistema delle corti è diviso su due livelli, rendendo il suo sistema più semplice rispetto a quello di altri paesi europei dove i livelli di giudizio sono almeno tre e in presenza di numerose corti speciali. Nel 1991 il sistema giudiziario è stato riformato, anche in seguito al caso Kristinsson citato nei precedenti paragrafi, per perfezionare la separazione fra il potere giudiziario ed esecutivo. Sotto questa nuova legislazione operano sia la Corte Suprema che le corti di distretto, la cui giurisdizione coincide con l’area delle circoscrizioni elettorali. In ambo e due i casi l’ambito in cui operano è quello civile e penale.
Per quanto concerne le corti speciali, il sistema giudiziario islandese ne prevede due tipi. La Corte del Lavoro la quale tratta di casi inerenti alle organizzazioni sindacali e le associazioni degli imprenditori. Non si può ricorrere in appello per le sue sentenze, si può ricorrere alla Corte Suprema solo per difetti di natura procedurale. L’Alta Corte di Stato invece tratta i casi relativi all’operato scorretto dei ministri del governo il quale è stato previamente segnalato dal Parlamento. Le decisioni dell’Alta Corte sono inappellabili, tuttavia da quando è stata introdotta questa istituzione non è mai stata convocata.
La Corte Suprema opera in due sezioni ad ognuna delle quali partecipano tre o cinque giudici a seconda dei casi, su un totale di nove giudici. Per casi particolarmente importanti il Presidente della Corte può decidere che in aula siedano fino a sette giudici. Solitamente quando i giudici si riuniscono in un gruppo di cinque o di sette, si tratta dei giudici più anziani della Corte. La sessione deve esser presieduta dal Presidente, in sua assenza deve essere sostituto dal suo vice e in caso manchino entrambi la sessione viene condotta dal membro più anziano della Corte.
I giudici della Corte si riuniscono ogni due anni per nominare il Presidente e il suo vice. I compiti del Presidente della Corte, oltre quelli citati in precedenza, sono quelli di condurre i lavori, controllare la disciplina e anche sbrigare le pratiche amministrative. In questo campo è aiutato dal Segretario Generale che si occupa dell’amministrazione della Corte per suo conto e seguendo le sue indicazioni.
L’ Alþingishús dove ha sede il Parlamento | La Corte Suprema d’Islanda |
Il Presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson
[1] “Iceland’s 1100 years: history of a marginal society” pag. 9 edit by Gunnar Karlsson
[2] “Iceland’s 1100 years: history of a marginal society” pag. 14 edit by Gunnar Karlsson
[3] Tratto da “The Story of Burnt Njal”, traduzione di George Dasent
[4] “Private Creation and Enforcement of Law: a historical case” by David Friedman
[5] “Iceland’s 1100 years: history of a marginal society” pag. 73-76 edit by Gunnar Karlsson
[6] Tratto dalla Islendinga Saga
[7] Tratto dalla Islendinga Saga
[8] “Iceland, The Republic”, pag. 71 editors Johannes Nordal e Valdimar Kristinsson
[9] “Iceland, The Republic”, pag. 75 editors Johannes Nordal e Valdimar Kristinsson
[10] “Iceland’s 1100 years: history of a marginal society” pag. 143 edit by Gunnar Karlsson
[11] “Iceland, The Republic”, pag. 83 editors Johannes Nordal e Valdimar Kristinsson
[12] Reportage “Noi popolo di ipotecati” da Corriere Magazine del 20/12/2008
[13] “Iceland’s 1100 years: history of a marginal society” pag. 19 edit by Gunnar Karlsson
[14] Tratto dalla Ljòsvetninga Saga
[15] Schema tratto da “Bloodtaking and Peacemaking: feud, law and society in Saga Iceland”, pag. 17 edit by Ian Miller
[16] Tratto dalla Grágás
[17] Tratto da “Bloodtaking and Peacemaking: feud, law and society in Saga Iceland”, pag. 35 edit by Ian Miller
[18] Tratto dalla Eyrbyggja Saga
[19] Tratto dalla Grágás
[20] Tratto da “Bloodtaking and Peacemaking: feud, law and society in Saga Iceland”, pag. 235 edit by Ian Miller
[21] Tratto dalla Vatnsdœla Saga
[22] Da da “Constitutional and Economic Space of the small Nordic Jurisdictions” pag. 51 by Agust Thor Arnason, edit by Lise Lyck
[23] Art. 1 Costituzione Islandese
[24] Art. 2 Costituzione Islandese
[25] Art. 15 Costituzione Islandese
[26] Introduzione Costituzione islandese
[27] Tratto da “Constitutional and Economic Space of the small Nordic Jurisdictions” pag. 59 by Agust Thor Arnason, edit by Lise Lyck
[28] “Thoughts on the Constitution” pag. 112 by Ólafur Jóhannesson, Helgafell
[29] “da “Constitutional and Economic Space of the small Nordic Jurisdictions” pag. 57 by Agust Thor Arnason, edit by Lise Lyck
[30] “Althingi, Election to Althingi”, pag. 10, comipled by the secretariat of Althingi, edited by Hildur Gròa Gunnarsdottir and Solveig K. Jonsdottir
[31] da www.wordiq.com
[32] dal Morgunblaðið del 26/04/2009
[33] “Althingi, The President of Althingi”, pag. 14, comipled by the secretariat of Althingi, edited by Hildur Gròa Gunnarsdottir and Solveig K. Jonsdottir
[34] “Althingi, Party Groups”, pag.16, comipled by the secretariat of Althingi, edited by Hildur Gròa Gunnarsdottir and Solveig K. Jonsdottir
[35] Da www.althingi.is
[36] Da Forbes del 25/05/2009
[37] Act No. 85/1997 on the Althingi Ombudsman
[38] “Semi-presidentialism in Europe” by Gunnar Helgi Kristinsson, pag. 99. Compiled by Robert Elgie, Oxford University Press, 1999
[39] Da www.icelandreview.com del 02/02/07
[40] Art. 13 Costituzione Islandese
[41] “Semi-presidentialism in Europe” by Gunnar Helgi Kristinsson, pag. 101. Compiled by Robert Elgie, Oxford University Press, 1999
La Costituzione Islandese: storia ed evoluzione” is a degree thesis defended on 15th July 2009 by Fabio Quartino under the supervision of Prof. Andrea Canepa of the University of Genoa, Italy. It offers an extensive overview of Icelandic history aimed at finding out the roots of the nation's constitutional order, which is currently in the process of being revised by the first ever elected constitutional assembly in the life of the country. Fabio Quartino's work wishes to be a source of useful information for Italian-speaking scholars who have an interest in Iceland's constitutional history and may not have access to comprehensive overviews in their native tongue.